Può un ristorante chiamarsi “Immorale”? Non rischia il malinteso? Siamo andati a Milano in via Lecco, zona Porta Venezia, ad indagare, ed ecco cosa abbiamo scoperto.
Anzitutto che è un ristorante-enoteca, con le sue 340 etichette di vini naturali, ossia a fermentazione spontanea e basso dosaggio di solfiti. I vini non vengono presentati in una carta tradizionale: una dozzina viene proposta settimanalmente all’interno del menù, ma la maggior parte, partendo dalla scelta dei piatti e dalle preferenze del cliente, viene raccontata e proposta direttamente al tavolo.
Tornando all’immorale denominazione, ci viene subito spiegato che qui si fa riferimento alle “Ricette immorali” dello scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán; un ricettario/antologia con piatti pieni di gusto, dal tono un po’ piccante, che invita a volersi bene e ad amare meglio. Una filosofia che rispecchia in pieno il modo di essere del patron di “Immorale”, che risponde al nome di Luca “Leone” Zampa.
“A parte le suggestioni letterarie,” spiega Luca, “la mia idea è proprio quella di andare altre i confini, cercando di accogliere un’ampia gamma di esigenze gastronomiche: non trascuriamo le intolleranze, ci piacciono gli amanti del pesce e delle verdure. Ma non siamo legati ad un territorio: le radici saranno sempre italiane, è inevitabile, ma l’orizzonte deve restare internazionale. Per esempio, il nostro piatto bandiera è la “poraccia”, spaghetto quadrato condito con ingredienti poveri, per cui l’ispirazione mi è venuta dalla soba giapponese. Un piatto immorale anche nel prezzo, perché va a sei euro, e con questo siamo già fuori da tutti gli schemi della ristorazione. Qualche altra provocazione, presente in menù di tanto in tanto, è il cibo da mangiare con le mani, come nel caso delle pappardelle fritte.”
È restato un po’ di spazio per le origini marchigiane?
“Qualcosa c’è, senza esagerazioni: selezioniamo alcuni vini e prodotti tipici, ad esempio il ciaùscolo (salame morbido a base di tagli minori), e ancora i paccasassi o finocchi marini; ma, ripeto, l’orizzonte è ben più ampio. La cucina è ricerca, è cultura, rimanere semplicemente all’interno delle nostre tradizioni porta all’asfissia. La cucina italiana ha bisogno di aprirsi, se no si ritrova seduta e priva di magia.”
Anche il cocktail fa parte della magia? In questo periodo, tutti i Giovedì l’ “Immorale” ospita Franco Tucci Ponti, un bartender di esperienza internazionale…
“I cocktail ci servono per aprire e chiudere la cena, è un’iniziativa estemporanea. È vero che va di moda servirli a tutto pasto, ma io non aderisco alla moda: resto concentrato sul vino e sulle 340 etichette dell’enoteca, nonché sulle capacità della sommelier Cristina Aromando, in grado di spiegare e personalizzare gli abbinamenti. In questo momento i cocktail hanno il compito di diversificare l’offerta ed attrarre la clientela per l’aperitivo e il dopocena; un modo come un altro per affrontare creativamente le restrizioni imposte in questo dopo-COVID. Che magari non cambierà radicalmente il nostro modo di vivere: i clienti dell’ ‘Immorale’ resteranno comunque aperti e curiosi ed io, come ristoratore, dovrò cercare di essere più rassicurante.”
Un pizzico della nostra apertura/curiosità è entrato in gioco quando abbiamo ordinato gli asparagi bianchi di Verona con albicocche aspre, miele e fiori d’acacia, ma il punto più alto si è raggiunto con le animelle affumicate, nocciole e salsa sesamo-miso: un piatto di alta scuola, delicato e intrigante. Le animelle rientrano nella categoria delle frattaglie, ma dal gusto davvero particolare, che si armonizza alla grande con gli altri ingredienti e si allontana nettamente da sapori più forti come fegato, polmone o trippa. Avremmo poi voluto re-incuriosirci con le lumache di mare affiancate a pane e anduja, ma si sarebbe persa la leggerezza della cena informale.
Alla fine della cena abbiamo tirato le somme, ed osservato che l’ironia provocatrice dell’ “Immorale” si era tenuta su un piano di educata proposta: apprezzabile, dunque, la sobrietà. Abbiamo inoltre riflettuto sul fatto che Luca “Leone” Zampa, per tirar fuori un nome e dunque un concetto di ristorante, poteva far ricorso a un generatore internettiano: in rete si trovano generatori di domande, di spunti per conversazione, di nomi per band musicali e infinite altre diavolerie. Ha fatto ricorso al suo istinto, invece, ottenendo un mix di italianità e innovazione che a Milano può ritagliarsi il suo spazio, a beneficio di gastronauti aperti e curiosi.