Un’immagine vascolare risalente all’epoca ellenistica raffigura il Minotauro in una veste inedita: infante, stretto tra le braccia di sua madre Pasifae. Alla luce delle considerazioni che da questa rappresentazione derivano, come possiamo rileggere la figura da sempre demonizzata della creatura mitologica?
Il Minotauro rientra a tutti gli effetti in quella cerchia di figure mitologiche che hanno oltrepassato il confine epico e sono entrate nella cultura popolare. Il famelico mostro, un uomo con la testa di toro, è perciò universalmente riconosciuto come un personaggio temibile, malvagio, frutto del peccato e per questo condannato a sua volta a fare del male. Il celebre labirinto di Cnosso in cui è stato rinchiuso è un’architettura così presente nell’immaginario comune che talvolta ci sembra possa essere realmente esistita. Ancora di più i tributi – sette fanciulli e sette fanciulle che Atene era costretta a consegnare a Minosse per soddisfare la fame del Minotauro – rappresentano ormai un topos che fa capolino nella cultura di massa piuttosto spesso (pensiamo per esempio alla saga di romanzi e film Hunger Games).
Attorno al Minotauro si è andata dunque costruendo una narrazione piuttosto cruenta, incentrata sulla sua figura violenta e omicida. In tutta la letteratura classica di fatti non vi è alcuna pietà per una creatura che, al di là della testa taurina, era in tutto e per tutto un uomo. Definito come una “bifronte immagine mostruosa” da Ovidio nelle Metamorfosi, “vergogna dalla doppia natura” da Seneca e “frutto bifronte di un amplesso mostruoso” da Virgilio nell’Eneide, sono poche le descrizioni che si sforzano di comprenderne l’intimo disagio. Tra queste spicca quella di Plutarco, che quasi gentilmente lo descrive come composto da “due diverse nature, toro e uomo, congiunte in lui”.
Se come abbiamo visto la letteratura si incentra sul momento della sua nascita – ordita da Poseidone, che per vendicarsi di Minosse, sovrano di Creta, aveva indotto sua moglie Pasifae a giacere con il toro che il re per avidità si era rifiutato di sacrificare al dio – l’arte figurativa indugia invece sulla morte della bestia. Gli affreschi antichi e la pittura vascolare si incentrano molto spesso sul momento culminante del mito: Teseo riesce grazie all’aiuto di Arianna e del suo filo a farsi largo nel labirinto e a uccidere il Minotauro. Proprio sul momento dell’eliminazione si sono concentrate le rappresentazioni, dando diverse versioni dell’accaduto. Trascinato, colpito, sgozzato, preso per le corna: la creatura è sempre raffigurata nel momento drammatico in cui soccombe sotto i colpi dell’eroe.
Solo una di queste opere vascolari apre a una visione diversa del Minotauro. Si tratta dell’immagine in cui il mostro, qui niente affatto pericoloso, giace infante sulle gambe della madre Pasifae. Questa visione intima e dolce ci ricorda in modo doloroso che, prima di diventare una bestia assetata di carne umana, il Minotauro altro non era che un bambino, indifeso e desideroso dell’affetto materno. Cosa è accaduto allora dopo quel momento? È accaduto che Minosse, temendo lo scandalo e la vergogna, ha rinchiuso il figlio in un sotterraneo per nasconderlo agli occhi del mondo. L’ha abbandonato, innocente e piangente, a scontare colpe che non erano sue. Figlio del peccato del padre, il Minotauro è stato privato della libertà e della possibilità di crescere come tutti gli altri. Così facendo Minosse ha trasposto la propria colpa sul figlio: l’ha reso un mostro per giustificarne la reclusione, a sua volta necessaria per mantenere integro il suo onore.
Il Minotauro è innocente. è un bambino chiuso in uno scantinato. è spaventato. lo hanno abbandonato
Georgi Gospodinov, Fisica della malinconia
L’immagine di Pasifae con il Minotauro è sostanzialmente unica ma estremamente utile per riflettere su una figura demonizzata ingiustamente. Ritrovata nell’antica città di etrusca di Vulci, si può ora visionare nella collezione della Biblioteca Nazionale di Parigi. Lontano dal riscattare totalmente il Minotauro, la rappresentazione ne approfondisce però il lato umano, sensibile, ferito, irrimediabilmente perso nel dramma dell’abbandono e della solitudine. Inoltre la figura si connette immediatamente alla diffusissima icona della Madonna con il bambino Gesù, molto più diffusa ma di fatti successiva di qualche secolo all’immagine di Pasifae e il Minotauro. Proprio come nell’iconologia religiosa, anche in questo caso si percepisce come l’amorevole scena nasconda un dramma prossimo a verificarsi. Il braccio del Minotauro, per esempio, è già staccato dalla madre come in una triste accettazione della propria sorte. Lasciandoci prendere la mano ed esagerando un po’, non appaino nemmeno così lontane le figure del Minotauro e di Cristo neonati: due bambini ignari di quel che sarà, due creature diverse da tutti gli altri, umani ma non umani, il cui destino è irrimediabilmente stato segnato fin dal principio dalle decisioni dei padri.