Print Friendly and PDF

L’incontro col dramma: William Congdon e la poetica delle Crocefissioni

William Congdon, Crocefisso, 1960. Milano, William G. Congdon Foundation
William Congdon, Crocefisso, 1960. Milano, William G. Congdon Foundation

William Congdon ha dipinto paesaggi e città, ma è con le Crocefissioni che ha trovato la sua definitiva dimensione artistica. La poetica che l’artista condensa nei suoi dipinti, strettamente legata alla conversione avuta nel 1959, vede nell’esperienza cristiana un’occasione per comprendere il dramma esistenziale dell’uomo.

In molti, forse a ragion veduta, intendono l’esperienza religiosa come una fuga dal reale, un sollievo dal suo impatto traumatico. Non a caso la speranza di una vita dopo la morte – condensata nella resurrezione e ascensione di Cristo – è elemento chiave della dottrina cristiana. A questo proposito, la psicanalisi – a partire da Freud ovviamente – ha definito la religione come “un’illusione narcisistica di matrice infantile“. La “nevrosi” dell’uomo religioso sarebbe quella di rifiutare le asprezze del mondo per rifugiarsi nella credenza illusoria di un mondo ulteriore. Eppure, da una visione più approfondita, appare chiaro come l’esperienza cristiana – anche e soprattutto perché relativa a Cristo – non implichi l’evitamento del confronto con il reale, ma un duro incontro con esso.

William Congdon – pittore americano vissuto a lungo in Italia, prima ad Assisi, poi a Subiaco e infine nella bassa Pianura Padana – dimostra la violenza rivelatoria del contatto con Cristo attraverso il ciclo più rilevante della sua produzione artistica: i Crocefissi. Ne dipinse più di 200 in circa 15 anni. Tutti dal 1959 in poi, anno della sua conversione al cattolicesimo – avvenuta ad Assisi. Non possiamo certo sfuggire dalla tentazione bibliografica di connettere l’evento epifanico al cambiamento tematico delle sue tele (prima era solito dipingere paesaggi, città e luoghi), ma leggendo le sue parole siamo costretti a rifletterci più a lungo:

Dipingo sempre il Crocefisso perché in questo sta tutto ciò che ho visto e vissuto fino al momento di dipingerlo, e tutto ciò che mai vedrò in futuro

William Congdon – Crocefisso 34, 1966
William Congdon – Crocefisso 34, 1966

Congdon scorge nel soggetto di Cristo in croce il dramma dell’uomo, non del divino, che affonda nel mondo e dal mondo viene ferito. Non è un simbolo ideale, ammantato di sacralità, attraverso il quale crogiolarsi in una possibile e futura speranza di salvezza. Al contrario l’icona – condotta dal pittore lontano dalla figurazione, destinandola a un Informale sempre più marcato – rappresenta per Congdon la lacerazione della vita che si scontra con l’esistenza, della brutalità del mondo che si abbatte sull’uomo. E in tutto questo, ovviamente, è presente il mistero del divino e di un’alterità; ma essa non si manifesta preponderante, quanto piuttosto come sentimento suggerito, evocato dalla rappresentazione inusuale del pittore.

Fatte sue le istanze dell’espressionismo astratto – assimilate dal contatto, avvenuto a New York nel 1948, con Pollock, De Kooning, Kline e Rothko – Congdon le miscela alla componente figurativa necessaria nella rappresentazione di Cristo. Il risultato è un’identificazione materica tra Cristo e la croce, realizzata attraverso una pratica ibrida tra espressionismo e informale. Gradualmente i Crocefissi di Congdon portano l’uomo a unirsi al supporto, che non è più anticipazione della sua ascensione, ma testimonianza del suo disfarsi terreno. Il carattere fallace dell’umanità e del suo più alto rappresentante si sgretola insieme alla sua figura: mai definita e gradualmente sempre più soffusa, persa nella croce e nel fondo (quasi sempre scuro) che la accoglie.

William Congdon condensa così il mistero della dialettica umano-divino in una rappresentazione estetica ricca di conseguenze teoretiche. Accingendo alla tradizione cristiana della pasqua (il venerdì il calvario, il sabato il lutto, la domenica la resurrezione), le Crocefissioni di Congdon sarebbero sicuramente il sabato. Se è certo che il venerdì è il giorno della sofferenza, è altrettanto vero che gli uomini mantengono comunque un ultimo contatto (almeno visivo) con Cristo; la domenica, al contrario, è il giorno del ritorno e dell’abbraccio consolatorio; il sabato è invece il giorno della disperazione, del distacco, della mancanza totale e all’apparente scomparsa definitiva. É il giorno più umano di Cristo, il giorno in cui tutti, attraverso lui, riconosciamo il dubbio e il timore che il destino rechi solo sofferenza. Ecco che Congdon posiziona qui il suo Cristo: un uomo che come tutti ha vissuto e sofferto; e, dietro di lui, la luce divina che avanza.

William Congdon – Crocefisso 18, 1966
William Congdon, Crocefisso 18, 1966
William Congdon, Cristo crocifisso
William Congdon, Cristo crocifisso

Commenta con Facebook