Finestra su libro vista croce a T senza chiodo né uomo con scale arancio appoggiate sopra. Copertina con impronta vista Deposizione di Yue Minjun, svuotata dalla presenza umana e dalla maniera cinquecentesca di Rosso Fiorentino da cui prende forma la tavola contemporanea. E il libro. Comincia così il viaggio (e il nuovo volume) di Demetrio Paparoni, tra i più noti curatori e critici italiani, attraverso seicento anni di storia dell’arte per dar voce (terrena) al “divino e la sua rappresentazione nell’arte di ieri e di oggi” come recita il sottotitolo dell’opera. Titolo: “Cristo e l’impronta dell’arte“, ovvero come gli artisti hanno affrontato nella loro opera il rapporto col trascendente e in che modo hanno trattato l’immagine di Cristo, ridisegnata sul piano iconografico e teologico alla luce dei mutamenti storici e allo sviluppo dei nuovi linguaggi. Rendere visibile l’invisibile: essenza dell’arte, tematica basilare e onnipresente nell’intera parabola storico-artistica alla quale Paparoni dà voce e inchiostro in quasi duecento pagine finemente rilegate e cartonate (da Skira). Un racconto che dal trecentesco Compianto di Giotto al Minjun in copertina (e/o viceversa) si di-spiega tra incessanti e incalzanti accostamenti e rimandi (mai banali) corredati da un prezioso apporto iconografico (150 pagine le pagine con illustrazioni a colore). Un’analisi dal linguaggio semplice e accessibile che offre un contributo importante al dibattito contemporaneo sull’arte attuale. La parola all’autore.
Due cose appena preso in mano il libro:
la prima: l’immagine di copertina, la Deposizione dalla croce di Yue Minjun che fa il verso a quella del Rosso Fiorentino “svuotata” dalla presenza umana. Come mai questa scelta?
Yue Minjun ha dipinto un ciclo di quadri nei quali riprende opere famose svuotandole della presenza umana. Questo ciclo, come quello in cui si autoritrae con una risata sciocca, o come quello nel quale dipinge labirinti, tende a mettere in luce il senso di spaesamento e la confusione nella mente dell’uomo dinanzi a ciò che mette alla prova le sue certezze. Svuotare la Deposizione dalla Croce di Rosso Fiorentino della presenza umana equivale anche a svuotare la scena del quadro della presenza divina, lasciandone però la memoria. Ho scelto quest’opera per la copertina, dopo non poche discussioni con Stefano Piantini, direttore della casa editrice, perché incarna meglio di altre il processo di desacralizzazione in arte che ha l’avvio con l’Illuminismo, cioè da quando la cultura, sempre più interessata alle verità scientifiche, ha messo in dubbio i misteri, e dunque anche i dogmi religiosi. Inoltre Yue Minjun è cinese e non è cristiano, e per me è sorprendente il fatto che diversi artisti cinesi si siano confrontati, seppure in maniera non sistematica, la figura di Cristo. Consideri anche che io non sono uno storico, ma un critico d’arte contemporanea, e mi è sembrato ovvio mettere in copertina l’opera di un contemporaneo.
Deposizioni a confronto: Yue Minjun, Deposition from the cross, 2009 e Rosso Fiorentino, Deposizione della croce, 1521
La seconda: il termine “impronta” nel titolo, cosa significa… traccia, matrice, essenza, residuo… fa riferimento alla Sindone e ai Klein citati e approfonditi all’interno.
Inevitabilmente certe opere ci lasciano qualcosa addosso, la loro impronta, quello che riescono a trasmetterci. Il termine fa riferimento alla Sindone, che molti credenti continuano a ritenere l’autentico tessuto che ha avvolto il corpo di Cristo, a dispetto di ogni confutazione scientifica. Ma, per riprendere il suo esempio, questo termine fa riferimento anche a Klein, che riconduce al sacro l’impronta del corpo umano sulla tela, che diviene una traccia di vita, movimento ed energia spirituale.
Partendo (o arrivando) dall’opera in copertina… anche la rappresentazione del divino dalla seconda metà dell’Ottocento ha spesso abbandonato la sua valenza estetica nel senso classico del termine. A ben vedere l’immagine di Minjun a confronto con quella cinquecentesca di Rosso Fiorentino oltre ad essere svuotata di personaggi sembra svuotata anche del concetto di “sacro”.
Quando parlo di desacralizzazione intendo l’attenuazione dell’influsso esercitato dalle istituzioni e dai valori religiosi sull’arte. Sicuramente è così per l’opera di Yue Minjun. Ma il fatto che un’opera di un artista del Cinquecento possa aprire un dialogo con un artista cinese di oggi, mette in gioco la forza misteriosa dell’arte.
Il libro racconta – con continui accostamenti e rimandi – il modo in cui gli artisti di oggi hanno ridisegnato sul piano iconografico e teologico la figura di Cristo alla luce dei mutamenti storici e dello sviluppo dei nuovi linguaggi. Quanto è importante la “citazione”, il rapporto e la “tensione” tra l’artista (alle prese con l’opera) e quello che è stato concepito e creato prima.
Non si tratta di citazioni ma di riscrittura. Il concetto è profondamente diverso. Nell’ambito della pittura moderna, e in particolare dalla Pop art in poi, questo è particolarmente evidente. Gli artisti hanno un duplice atteggiamento rispetto a chi li ha preceduti. Di contrapposizione, soprattutto rispetto a quegli autori che sono più vicini a loro nel tempo e con i quali il confronto è diretto, e di amore per quelli che eleggono come loro riferimenti in un tempo più lontano. La riscrittura rende solo più esplicito un rapporto che esiste comunque.
Come cambia la percezione della raffigurazione di Cristo nella storia (dell’arte)? Nel XX secolo – per esempio – “diventa” un uomo qualunque e incarna la sofferenza dell’uomo. Qual è la differenza, lo scarto maggiore, tra l'”impronta sacra” di un Mantegna e quella di un Wang Guangyi o tra quella di un Bouguereau e Fridjònsson.
Wang Guangyi si serve del soggetto religioso perché è interessato alla figura dei leader. Per Wang Guangyi un leader politico e un leader religioso sono accomunati dalla necessità di avere consenso. Il suo intento non è studiare il fenomeno della fede in quanto tale, ma capire cosa si nasconde dietro il fenomeno della fede. Decide di riprendere l’immagine di Mantegna perché, in forza delle scelte formali dell’artista, è diventata un’icona. Fridjònsson che nel soggetto (ma non nello stile, non nel linguaggio) riecheggia Bouguereau in realtà non fa altro che sottolineare che l’arte guarda continuamente l’arte per reinventarla.
Come hanno condizionato l’iconografia divina gli stravolgimenti e sconvolgimenti (sia di linguaggi che dell’esistenza) del Novecento. L’avvento della fotografia, la psicoanalisi, le guerre mondiali, citando Max Beckmann dal libro: “I giorni dell’umiltà di fronte a Dio sono finiti. La mia religione è arroganza verso Dio, ribellione verso Dio (…)“
L’arte riflette sempre il suo momento storico. Questo è inevitabile. Pensi all’incidenza sull’arte delle guerre di religione, della Riforma e della Controriforma, delle rivoluzioni politiche e scientifiche. Sicuramente l’effetto che ha avuto la psicanalisi è stato esplosivo. Ciò che è accaduto con la Prima e con la Seconda guerra mondiale ha lasciato tracce evidenti nell’opera degli artisti. L’artista proietta sempre nell’opera la propria visione del mondo, ma non è scontato che questa coincida con il pensiero dominante.
Cristo è un mezzo più che un fine per l’arte e gli artisti…
Nell’arte del passato la sua rappresentazione rispondeva alle esigenze della committenza e comunque i grandi artisti riuscivano sempre a fare passare tra le righe la loro visione del mondo. Freud ha per esempio evidenziato come il Cristo della moneta di Tiziano (1518 c.) rappresenti la sfida dell’artista di rendere credibile il volto di Cristo attraverso un volto che non ha niente di divino, “un volto umano, ma assai lontano dalla bellezza”. James Ensor nel 1888 ha mostrato il tormento di Cristo più attraverso l’uso del colore che attraverso la fedeltà al soggetto raffigurato. Lovis Corinth nel 1907 ha dipinto un pover’uomo messo in croce. Non è Cristo, ma noi siamo indotti a vedere il lui Cristo.
Nella rappresentazione del sacro è più importante il soggetto o il linguaggio?
Decisamente è più importante il linguaggio. La narrazione è il più delle volte un pretesto. Ma anche una necessità, visto che è già dalla seconda metà del secolo scorso che gli artisti difficilmente riescono a esprimesi con un linguaggio che possa dirsi innovativo o inedito.
Quanto conta la soggettività (il trascorso e l’esperienza) e la religiosità dell’artista nella raffigurazione del divino?
Conosco personalmente molti artisti e non mi è mai capitato di sentir loro porre l’attenzione sulla questione religiosa. Con Sean Scully ho parlato spesso e lui si soffermava spesso sul concetto di anima, non mi ha mai parlato di Cristo. Anche nelle interviste a diversi artisti ho riscontrato l’attitudine a escludere la religione dalla loro area di indagine. L’interesse è piuttosto per l’uomo. Una cosa è affrontare la questione del sacro, ben altra è portare la religione e la fede all’interno dell’opera.
Quale significato e che ruolo ha la “luce” (sempre nella rappresentazione del divino)?
Il tentativo di “svecchiare” il linguaggio ha portato spesso gli artisti a negare la presenza del simbolo nel proprio lavoro. Molti anni fa Mario Merz mi disse: “Perché parli di simboli rispetto al mio lavoro, non siamo più nell’Ottocento.” Ma quella di affrancare il simbolo dalla rappresentazione artistica, fatta eccezione per certo astrattismo (non tutto, ovviamente), per il minimalismo e per le forme più radicali di concettualismo è un’impresa disperata, perché il simbolo affiora nell’opera indipendentemente dalle intenzioni dell’artista. La luce è sempre stata uno dei simboli più potenti nel dare immagine al trascendente, in quanto espressione di qualcosa che è insieme reale e incorporeo.
Cristo e l’impronta dell’arte
Il divino e la sua rappresentazione nell’arte di ieri e di oggi
Editore: Skira
Prezzo: € 28,00
Argomento: Arte contemporanea
2 Commenti
Secondo il professore Mario Alinei la Gioconda sarebbe il ritratto di una donna morta raffigurata con gli occhi aperti. Alinei avrebbe visto la medesima espressione sul volto di sua madre appena morta. Così Leonardo riprenderebbe il tema della sua prima opera perduta, che aveva come soggetto la Medusa mitologica. La Sindone di Torino invece sarebbe l’autoritratto o il ritratto di un uomo vivo rappresentato come morto. Ma i geni tendono ad agire in modo simile ed ad avere un volto somigliante nella maturità. L’autoritratto di Leonardo, il ritratto di Michelangelo anziano eseguito dai Daniele di Volterra ricordano l’immagine del volto sindonico. Gesù modello e volto archetipo del genio. La ferita al costato della Sindone guardata ingrandita ricorda l’immagine di un volto umano o una sua caricatura. Con una certa assonanza con il volto del guerriero centrale urlante della perduta (o forse no) Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci a Firenze in palazzo Vecchio, Cfr. ebook/kindle. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie
“Ma anche una necessità, visto che è già dalla seconda metà del secolo scorso che gli artisti difficilmente riescono a esprimesi con un linguaggio che possa dirsi innovativo o inedito ” !!!!! Bella intervista ma a quanto pare sia l’autore del libro sia Arts Life non fanno i conti con The Opera Collection il Poema visivo del XXI secolo il Volto del Mondo e la Croce, dal Giubileo della Misericordia al Grande Giubileo del 2025. Sarebbe anche il momento di colmare questa lacuna. SA