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Intervista a Fabio Cavallucci

Fabio Cavallucci da settembre 2010 è Direttore del Centro per l’Arte Contemporanea di Varsavia Castello Ujadowski (Csw), primo italiano a ricoprire questo ruolo, nonché primo direttore non polacco di uno di tutti i ventotto istituti culturali nazionali. Dopo l’esperienza di Tuscia Electa, dal 1996 al 2000, e la felice conduzione della Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento dal 2001 al 2008, il curatore è stato chiamato, nel dicembre del 2009, alla direzione artistica della XIV Biennale Internazionale di Scultura di Carrara. Fabio Cavallucci è  stato coordinatore di Manifesta 7 in Trentino Alto Adige e dal dicembre 2006 è membro del board della Fondazione internazionale di Manifesta. Abbiamo parlato con lui del suo ruolo di coordinamento in una realtà museale in continua crescita, quale il Csw, e della specificità del paese della Polonia, in cui l’arte ha un ruolo attivo e dinamico, anche sostenuto dalle istituzioni e dal governo, che appoggia la nascita di nuovi musei, gallerie, manifestazioni. Anzi, al contrario di ciò che avviene in quasi tutto il resto d’Europa, il primo ministro polacco Donald Tusk ha firmato con l’Associazione dei Cittadini della Cultura, lo scorso maggio, un patto per portare il budget destinato alla cultura dallo 0.46%  all’1%.


Dagli anni Novanta ad oggi: quali sono stati i maggiori cambiamenti nel mondo dell’arte contemporanea polacca? è in questo decennio che è avvenuto il vero avvicinamento all’Europa occidentale e al mercato internazionale, vero?

Diciamo che l’aspetto fondamentale che ha caratterizzato quest’ultimo decennio è la maggiore apertura, dibattito, volontà di costruire. La ricerca degli artisti è proseguita concentrandosi sugli aspetti che identificano ancora oggi il loro lavoro (come l’attenzione al corpo e la performatività), non si è mai fermata negli anni. La trasformazione si è verificata soprattutto nella proposta dell’arte, da parte quindi dei musei e delle gallerie. Nascono come funghi nuovi spazi espositivi, c’è più dibattito e quindi gli artisti sono più conosciuti, acquisiscono sempre maggiore importanza anche all’estero, e si va formando anche un gruppo di collezionisti polacchi.

A questo proposito, esiste un mercato dell’arte contemporanea polacca all’interno della Polonia stessa? e all’estero? sono quotati gli artisti, vengono invitati e vendono?

Esiste un mercato polacco, sì. E’ ancora debole, ma sta crescendo. In Polonia l’arte contemporanea è arrivata senza che quasi s’immaginasse di poterla vendere. Agl’inizi del Novecento nasce a Varsavia la Zacheta Galleria Nazionale d’Arte, che per prima ha aperto le porte all’arte contemporanea: ha ospitato opere d’arte d’avanguardia anche di altri artisti europei, che allora non si conoscevano. Paul Cezanne, Pablo Picasso, Kasimir Malevich, Max Ernst, e altri. L’arte contemporanea arriva infatti come un fenomeno diffuso in Polonia, non c’è l’ansia del mercato, della vendita. Alla fine degli anni Ottanta, però, sono gli artisti polacchi che iniziano veramente a far parlare di sé: nello stesso periodo in cui in Inghilterra sorgeva il gruppo dei Young British Artists, in Polonia si vedono opere di artisti anche molto provocatorie, polemiche, che vogliono aprire un dibattito rispetto a temi di cui prima non si accennava neanche. Negli anni ’60-’70 a Varsavia è nata la Foksal Gallery (1966), una galleria pubblica, di Stato, con un programma concettuale, in tempi di repressione comunista: negli anni ’90 (1997) Adam Szymczyk, Joanna Mytkowska, e Andrzej Ptzywara fondano la  Foksal Gallery Foundation per conservare l’archivio della Foksal Gallery, e per portare nuove proposte. Giovani intraprendenti, che hanno iniziato ad aprire il mercato dell’arte ad altri artisti a loro contemporanei. E’ importante, oggi, rilevare che, dagli anni ’90, quando inizia l’apertura anche del mercato dell’arte, abbiamo già avuto in Polonia tre generazioni di artisti: la prima è ormai conosciuta a livello internazionale, ne fanno parte artisti come Zmijewski o Althamer. Nella seconda troviamo artisti come Monika Sosnowska, Sasnal, che arriva fino ai primi anni Duemila e che comprende gli artisti che hanno avuto un certo riconoscimento anche di mercato, perché hanno iniziato la propria carriera quando il sistema aveva un po’ ingranato anche qui. Della terza generazione, invece, fanno parte artisti ancora giovanissimi, tanto bravi che mi hanno permesso di riscoprire perché mi occupo d’arte. Certamente anche per questi sono riservati grandi riconoscimenti, nel loro lavoro c’è una energia e una qualità ancora altissima.

Il fatto che questa disposizione ad una maggiore apertura da parte delle istituzioni sia avvenuta così in fretta che conseguenze ha avuto nel mondo culturale, nel male e nel bene?
Non ha avuto conseguenze negative, direi solo positive. La cultura in Polonia ha continuato ad avere un forte valore di identità. Il legame col passato è uno stimolo da superare. I dolori e le sofferenze non si dimenticano, ma c’è la determinazione di costruire. E’ forte la volontà di iniziare e creare un paese nuovo. Per farlo si opera con rigore e qualità nell’organizzazione, e la partecipazione del pubblico è notevole. Ad esempio, c’è un giorno alla settimana in cui qui al Csw il biglietto è gratuito, e questo fa la differenza nell’affluenza. I 12 sloti cambiano. Perché la gente è interessata a seguire le mostre, i giovani seguono con partecipazione gli eventi culturali. Vanno all’opera anche, i teatri sono sempre pieni. Alle inaugurazioni c’è tanta partecipazione.

 

quale eredità italiana porta in Polonia il primo direttore non polacco a dirigere questo museo? e che tipo di ruolo è il suo?

Spero di poter dare dei vantaggi avendo un occhio un po’ più distaccato nei confronti della loro cultura e della loro storia, non direttamente coinvolto almeno. Intendo dire che vorrei contribuire ad avere una ancora maggiore apertura all’esterno. Io sono entusiasta di essere qui, cerco di riuscire a pormi sempre in modo obbiettivo: vorrei gestire un museo, che però sappia guardare al futuro. La mia speranza è che qui, in Polonia, con l’energia e la positività che c’è, si possa arrivare a creare un modello di museo ancora sconosciuto, fresco, che poggi sulla base di nuovi presupposti: non è detto che si debba esporre solo il prodotto, il risultato, l’opera finita. Le istituzioni artistiche devono essere dei soggetti attivi, devono dialogare con la società e influire nella realtà. Voglio un museo ancora più legato alla città. L’arte capisce prima i veri problemi, l’arte può essere un modo per avere un’idea nell’affrontarli. Quindi l’arte deve essere inserita nel contesto sociale di un paese, dialogare con esso.

 

quanto è nel suo interesse ospitare artisti da altre nazioni, organizzare magari anche delle rassegne o delle mostre specifiche? (io ne ho visti pochi, erano quasi tutti polacchi in mostra).

Senza dubbio faccio delle ospitalità (Cattelan viene spesso, ad esempio), ma mi concentro di più su ciò che è polacco. Semmai il mio intento è di potare fuori gli artisti polacchi contemporanei, fare in modo che siano più conosciuti all’estero.

il centro, che conta una ventina di curatori e circa ottanta dipendenti, si caratterizza per la sua interdisciplinarietà declinata in 12 sezioni che vanno dall’arte nazionale ed internazionale alla musica, dal teatro alla fotografia, fino al cinema. Qui non solo presentate arte, anche la create. Quindi vi occupate della produzione e la documentazione del contemporaneo in tutte le sue diverse sfumature, didattica e sperimentazione, di cui sono un esempio i laboratori creativi e i numerosi eventi artistici che mescolano varie forme espressive. Era così anche prima del suo arrivo? qual è l’aspetto che ritiene principale e imprescindibile, se c’è, tra tutte queste attività?  la sua è una funzione pedagogica nei confronti della Polonia?

Il centro era così anche prima, io sto ora riducendo un po’ i dipartimenti per favorire anche il dialogo fra loro. Il mio tentativo è quello di far dialogare di più le arti fra loro, in modo da favorire anche la vicinanza con la società: vorrei che questo museo partecipasse anche a numerosi convegni, in modo da partecipare ai dibattiti e mescolanza tra diversi linguaggi artistici. L’arte è educativa nel momento stesso in cui avviene, è autodidattica in sé. Quindi la partecipazione del pubblico è fondamentale in ogni senso, e qui in Polonia sono molto coinvolti nelle proposte che possono venire dal museo. Si pensi solo che in un anno il Csw ha contato 238mila presenze, ma è una partecipazione spontanea, di persone coinvolte.

avete rapporti e dialogate con gli altri musei in Polonia, per esempio il Mocak di Cracovia?

 Sì, molto dialogo. Sto cercando anche di costruire un’associazione che comprenda tutti i musei d’arte contemporanea polacchi. Ci sto lavorando ora.

 

qualche difficoltà?

Be’, sì. Per vent’anni prima di me il centro è stato gestito da un direttore solo, Wojciech Krukowski. Ora sono arrivato io, e ho trovato degli attriti, ma è logico. Io sto portando avanti una lenta e attenta ristrutturazione, in certi casi trovo ancora un meccanismo lento e appesantito. Ma sono tranquillo, raccolgo vari segnali positivi.

 

eppure c’è qualcosa nei modi di gestire l’arte contemporanea polacca che vorrebbe diventasse abitudine anche in Italia e che porterà sicuramente con sé?

La libertà. Nessuno si autocensura, mentre in Italia ormai si autocensurano praticamente tutti, anche gli artisti. Perché in Polonia abbiamo uno stato che appoggia e non cerca di vincolare. Appoggia e basta. In Italia, quando curavo la Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento, non ho mai incontrato il ministro della cultura. Qui, invece, me lo sono trovato a inaugurazioni, conferenze, riunioni… partecipa, è interessato, eppure non vincola assolutamente.

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