È uscito nelle librerie Viceversa. Il mondo visto di spalle, edito da Johan and Levi e scritto da Eleonora Marangoni. Il volume indaga, attraverso 100 opere simboliche, la storia e il fascino che la prospettiva di spalle ha avuto sull’arte e su chi la osserva.
Voltare le spalle non è sempre un gesto di rifiuto. Nel deregolamentato mondo dell’arte, per esempio, porsi di spalle all’osservatore può aprire un mondo. Una prospettiva particolare, ma a guardare bene molto sfruttata, quella che riprende, per esempio, il soggetto di un dipinto da dietro. Non lo vediamo in faccia – perdendo così le potenziali espressioni del viso – ma guadagniamo dall’altra parte un fascino misterioso: questi soggetti dicono senza spiegare, suggeriscono senza indirizzare, aprono senza definire.
La scrittrice Eleonora Marangoni – come tutti noi ma probabilmente prima di noi – si è lasciata conquistare dall’indefinita bellezze di queste figure voltate di schiena e ne ha raccolto le immagini più celebri in un volume: Viceversa. Il mondo visto di spalle, pubblicato dalla casa editrice Johan and Levi.
Sono 100 le opere che l’autrice italiana ha raccolto per questo volume. Una scelta inevitabile, poiché una selezione andava pur fatta, ma d’altro canto sofferta vista l’imponente mole di materiale a disposizione. Ha infatti origini antichissime questa nota ma mai codificata tradizione, la quale si espande trasversalmente da oriente a occidente in tempi e modalità differenti.
Una delle prime immagini di schiena conosciute, da cui il libro prende il via, è quella della Flora di villa Arianna, un affresco di epoca romana oggi conservato al museo Archeologico di Napoli, dipinta mentre, noncurante dell’osservatore, si attarda a raccogliere un mazzo di fiori. Non sappiamo esattamente la ragazza ritratta nel suo floreale indugiare, ma è scelta da Marangoni come punto di raccordo tra i profili disegnati dagli antichi Egizi e i ritratti che i pittori occidentale hanno realizzato a partire dal Trecento, soprattutto in Italia e poi nelle Fiandre.
Disparate suggestioni e conferme storiografiche concorrono, come visto, in questa rilettura personale ma pertinente della storia dell’arte. Un percorso che non può prescindere anche da tradizioni illustri – “nella pittura nipponica esiste un genere – chiamato mikaeri-bijin – dedicato alla bellezza di una donna di schiena nel momento in cui si volta verso l’osservatore e gli rivolge uno sguardo da sopra la spalla” – o da iconiche opere da tutti conosciute – pensiamo a Caspar David Friedrich con il Viandante sul mare di nebbia. Anche cambiando mezzo espressivo, l’iconografia persiste. Lo vediamo nei ritratti fotografici di Luigi Ghirri o Thomas Struth, come nelle inquadrature di Antonioni e Truffaut.
Altrettanto interessanti i contributi critici con cui la scrittrice – autrice di Proust et la peinture italienne (2011), Proust. I colori del tempo (2014) e Lux (2018), la sua prima opera di narrativa – affianca alle immagine delle riflessioni sul perchè di tali scelte prospettiche e il ruolo, esplicito e implicito, che queste assumono. Sensualità e fragilità sembrano essere, in particolare, gli elementi che concorrono a rendere le spalle e la nuca il luogo dell’erotismo, ma anche dell’anima.