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Coronavirus. Chiude a Roma il Musja, il museo di Ovidio Jacorossi

Installation View: Chiharu Shiota, Sleepilng is like Death, 2019. Courtesy the artist & Galerie Templon andGino De Dominicis, Untitled. 1985. Courtesy Collezione Jacorossi, Roma. Installation View: Chiharu Shiota, Sleepilng is like Death, 2019. Courtesy the artist & Galerie Templon andGino De Dominicis, Untitled. 1985. Courtesy Collezione Jacorossi, Roma.

Installation View: Chiharu Shiota, Sleepilng is like Death, 2019. Courtesy the artist & Galerie Templon andGino De Dominicis, Untitled. 1985. Courtesy Collezione Jacorossi, Roma.
Installation View: Chiharu Shiota, Sleepilng is like Death, 2019. Courtesy the artist & Galerie Templon e Gino De Dominicis, Untitled. 1985. Courtesy Collezione Jacorossi, Roma.

Dopo appena un anno di vita, il nuovo museo d’arte contemporanea al centro di Roma chiude nonostante il successo di pubblico, a causa delle misure restrittive istituite durante l’emergenza sanitaria che non hanno tenuto conto delle peculiarità dei vari spazi espositivi

La nascita del Musja

Proprio un anno fa prendeva vita a Roma il Musja, il museo di arte contemporanea privato nato sotto l’ispirazione dell’imprenditore e  collezionista Ovidio Jacorossi, scomparso a ottobre.

Una sorta di laboratorio ideato non da un appassionato qualsiasi, ma da uno dei più importanti collezionisti di opere dal primo Novecento italiano ad oggi.

Sede del museo, un edificio vicino Largo di Torre Argentina nato sulle antiche rovine del Teatro di Pompeo e recuperato dall’architetto Carlo Iacoponi, enfatizzandone la stratificazione storica.

La mostra di Eccher

Proprio con la peculiare caratteristica di questo gioiello architettonico sospeso nello spazio-tempo, aveva dialogato con esiti a dir poco sorprendenti la mostra “Chi ha paura del buio“, curata da Danilo Eccher. Si trattava del primo capitolo di una ambiziosa trilogia che avrebbe impegnato la programmazione del museo per i prossimi tre anni.

Alla base del progetto espositivo fortemente voluto da Ovidio Jacorossi, la volontà di combinare la sua prestigiosa collezione del ‘900 con allestimenti temporanei che intercettassero le tendenze del panorama espositivo contemporaneo internazionale.

Un concept seguito anche da Eccher, che nel dialogo tra le opere aveva anche seguito lo stesso criterio per la scelta dei tredici artisti del primo capitolo della trilogia, combinando nomi ormai “storicizzati” anche i nuovi protagonisti dell’arte contemporanea del panorama internazionale.

Installation View: Monica Bonvicini, Belt Balls, 2 015; BeltDecke #4, 2017. Courtesy the artist & König Galerie and Galleria Raffael la Cortese
Installation View: Monica Bonvicini, Belt Balls, 2015; BeltDecke #4, 2017, Courtesy the artist & König Galerie e Galleria Raffaella Cortese

La storia del Musja finisce qui

La bella storia che vi stiamo raccontando però finisce qui. L’avventura del Musja termina dopo appena un anno di vita. Non per mancanza del successo del progetto espositivo presso il pubblico, che per un museo privato rappresenta ovviamente la condizione fondamentale di sopravvivenza.

Così come avvenuto per la trilogia presso il Chiostro del Bramante, anche questo nuovo progetto espositivo di Eccher ha infatti riscontrato un grande successo di pubblico, registrando oltre 10.000 visitatori nei pochi mesi di apertura fino alla chiusura dei musei stabilita dal DPCM 8 marzo 2020 a causa dell’emergenza sanitaria.

Motivi della chiusura

Il motivo della chiusura purtroppo va ricercato altrove. Nelle dinamiche impossibili da gestire dallo staff del museo. Lo ha rivelato, in una nota ufficiale del museo, il direttore Ovidio Maria Jacorossi, figlio del compianto fondatore del Musja:

Purtroppo le misure restrittive dovute all’emergenza sanitaria da Covid-19 non hanno consentito al Museo di riaprire le sue porte. I limiti agli accessi e le numerose prescrizioni sanitarie non combaciano, infatti, né con le caratteristiche di una mostra ricca di grandi installazioni site-specific né con la particolarissima struttura dello spazio, ricavato in un edificio che sorge nel cuore di Roma, sulle antiche rovine del Teatro di Pompeo e che nei secoli ha visto stratificarsi elementi architettonici di epoche diverse, dall’età romana sino al Rinascimento.

Difficoltà oggettive dunque che sono state già denunciate da altre istituzioni museali o di organizzazioni di mostre come il colosso Arthemisia, che ad aprile aveva annunciato l’impossibilità di riaprire al pubblico molte esposizioni per motivi economici e organizzativi.

Si spegne la luce sperando che il buio svanisca presto

La lettera del direttore del resto lascia intendere che più che al Covid-19, questa chiusura sia da attribuire ai rigidi protocolli, che probabilmente non hanno tenuto conto delle diverse peculiarità di uno spazio espositivo come quello del Musja (e non solo):

I procedimenti eccessivamente burocratizzati, i pochi incentivi per la ripartenza e la grande incertezza per ciò che avverrà, non ci consentono di impostare una programmazione per i prossimi mesi. Eppure, l’arte e la cultura guardano al futuro, lo immaginano e contribuiscono a delinearne i contenuti. Nell’assenza di prospettive si spegne la loro luce, le si rende impotenti e si priva la comunità di un valore imprescindibile.

La lettera di Ovidio Maria Jacorossi termina con un inno di speranza riferendosi alla prima – e purtroppo ultima – mostra del Musja:

Ci auguriamo che questo buio svanisca presto e che l’arte possa tornare quanto prima a svolgere il proprio ruolo di luce e di guida.

https://www.musja.it/ 

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