Maledetto Modigliani, al cinema la storia e l’opera di un artista maledetto e ribelle, genio scandaloso e maestro indiscusso dell’arte del Novecento
In occasione delle celebrazioni a 100 anni dalla morte di Modigliani, arriva al cinema solo dal 12 al 14 ottobre Maledetto Modigliani, il docu-film sulla vita e l’opera di Amedeo Modigliani (1884-1920), un artista d’avanguardia diventato un classico contemporaneo amato e imitato in tutto il mondo.
Livornese dalla vita breve e tormentata, Modì – come fu soprannominato – viene raccontato da un nuovo punto di vista: quello di Jeanne Hébuterne, l’ultima giovane compagna che si suicidò due giorni dopo la morte dell’amato nel gennaio del 1920. All’epoca Jeanne era incinta e lasciava una figlia di un anno. È proprio a partire dalla sua figura e dalla lettura di un passo dai Canti di Maldoror, il libro di Isidore Lautréamont Ducasse che Modigliani teneva sempre con sé, che si apre il docu-film.
Maledetto Modigliani trae inoltre ispirazione dalla mostra Modigliani – Picasso. The Primitivist Revolution – curata da Marc Restellini e in programma all’Albertina di Vienna.
Per comprendere Modigliani, quarto figlio di una famiglia di origini ebraiche sull’orlo di una crisi finanziaria, bisogna partire proprio dalla sua Livorno e da una provincia italiana che sin dagli albori gli è troppo stretta. Modigliani decide di partire e andare in cerca di altro. Va a Firenze, poi a Venezia. Arriva a Parigi nel 1906, a 21 anni. È qui che nasce la sua leggenda di artista maledetto.
Nel docu-film sono i suoi dipinti – ripresi in set dedicati – da La Filette en Bleu al ritratto di Jeanne Hébuterne, a parlarci di lui e della sua storia. Giocando tra riprese della città di oggi e foto e filmati d’archivio in bianco e nero, la voce narrante di Jeanne racconta di quella Parigi di inizio secolo: la ville lumière, la metropoli, il centro della modernità, già mercato d’arte e polo d’attrazione per pittori e scultori da tutta Europa. Quelli che allora facevano la fame e oggi valgono milioni, primo fra tutti proprio Modigliani. Durante il suo errare da un alloggio di fortuna all’altro, Amedeo Modigliani, povero, affamato, ma pieno di entusiasmo, incontra un’aspirante poetessa russa – la ventenne Anna Achmatova – e la giornalista e femminista inglese Beatrice Hastings. Tutte donne che ritrae e i cui volti diventano icone stesse della sua arte.
Il suo orizzonte immaginativo – comune a Pablo Picasso, a Constantin Brancusi e a molti altri – è quello del primitivismo: l’interesse per le antiche culture extraeuropee, un altrove nello spazio e nel tempo in cui gli artisti delle avanguardie cercano il ritorno alla natura minacciata dalla modernità. Ma Modigliani declina il primitivismo in una maniera unica, fondendolo con la tradizione classica e rinascimentale.
Scopriamo poi Modigliani nel confronto con le opere degli altri artisti a lui coevi, primi fra tutti proprio Brancusi e Picasso raccontati attraverso opere e spazi (l’Atelier Brancusi del Centre Pompidou e il Musée Picasso Paris). Tra i pittori dell’École de Paris, c’è anche Soutine, ebreo come lui, con il quale per un periodo condivide una casa-studio ancora rimasta inalterata. Ritroviamo Modigliani anche al caffè La Rotonde con Jean Cocteau che ne fissa per sempre la presenza sulla “terrace” insieme a Picasso, André Salmon e Max Jacob. Di nuovo riusciamo a individuare tracce di Modigliani nella Parigi di oggi: il vagare notturno scendendo le scalinate di Montmartre verso Montparnasse nuovo centro di aggregazione, le passeggiate intorno al Pantheon, le cancellate chiuse del Jardin du Luxembourg.
Modigliani, però, morirà povero e non riconosciuto. Solo in seguito diventerà uno degli artisti più quotati al mondo. E tra i più copiati.
Maledetto Modigliani ci porterà anche nel laboratorio di Marc Restellini, tra i maggiori esperti al mondo di Modigliani, autore di ricerche e scoperte sull’opera dell’artista che si avvalgono anche di analisi tecnologico-scientifiche condotte all’Institut Restellini.
Tra gli interventi del docu-film, oltre a quello di Marc Restellini, anche gli interventi di numerosissimi esperti tra cui quelli Harry Bellet, giornalista di Le Monde, studioso e critico d’arte, Giovanni Bertazzoni, Co-Chairman Impressionist and Modern Art Department Christie’s, Laura Dinelli, responsabile Musei Civici di Livorn e Pier Francesco Ferrucci, Direttore Unità di Bioterapia dei Tumori, IEO che da studente è stato tra gli autori della famosa “beffa delle teste” del 1984 a Livorno.