Dogtooth, al cinema dal 27 agosto la pellicola cult di Yorgos Lanthimos, utopia e distopia nella prigione della purezza
Arriva al cinema dopo 11 anni un film che per i cinefili è già un cult: Dogtooth (Kynodontas) di Yorgos Lanthimos. Uscito nel 2009 è il secondo lungometraggio interamente realizzato dal regista greco, film che l’ha consacrato agli occhi della critica come nuovo autore di punta del cinema greco contemporaneo. Presentata a Cannes 62 nella sezione Un Certain Regard (dove si è aggiudicata il premio come miglior film), Dogthoot è una pellicola spiazzante, crudele e asettica, che si è imposta come rivelazione e primo passo internazionale che ha portato Lanthimos a scalare il gota degli autori più amati del cinema contemporaneo.
Entrato nel cuore di Hollywood con il suo ultimo film, La Favorita (Golden Globe e Oscar a Olivia Colman per la Migliore attrice protagonista e ben dieci nomination), Lanthimos è una presenza fissa ai festival cinematografici più importanti del mondo dove è stato sempre accolto con entusiasmo: premiato alla Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia per Alps (Migliore sceneggiatura) nel 2011 e per La Favorita (Gran premio della Giuria), vincitore a Cannes con Dogtooth ma anche con The Lobster nel 2015 (Premio della Giuria) e con Il sacrificio del cervo sacro nel 2017 (Migliore sceneggiatura).
Una villetta con giardino e piscina, isolata nell’immobile quiete della campagna greca. Una famiglia composta da padre, madre e tre figli. I ragazzi non hanno mai oltrepassato il muro che li separa dal resto della città e sono stati educati e istruiti per volere dei genitori senza alcuna influenza dal mondo esterno. L’equilibrio viene spezzato quando il padre, per soddisfare gli istinti sessuali del figlio, introduce in casa un elemento esterno: Christina. A regolare questa “idilliaca” prigione un sistema di regole e leggi quantomeno bislacche a cui i figli credono ciecamente. Il desiderio di libertà si insinua però come un seme che germoglia lento ma inesorabile, e attraverso i meccanismi di un gioco si aziona un ingranaggio che potrebbe far crollare questo assurdo castello di carte.
Nella casa dall’apparenza borghese e isolata dalla società c’è in potenza il nucleo di una società distopica che rincorre un ideale distorto di purezza e candore fondata su un’educazione animalesca e primordiale infarcita di menzogne e mistificazioni. I figli sono sottoposti a un percorso educativo fatto di prove di resistenza, di forza e di volontà, in sospeso tra un’educazione militare e un’iniziazione sciamanica. Il mondo delle parole è sovvertito, mescolato: attraverso la deformazione del significato delle parole viene deformato il mondo stesso; nessuno dei componenti di questa famiglia ha un nome, l’identità viene annullata in una cesura totale con le dinamiche sociali.
Lanthimos, autore visionario e crudele, costruisce tutto il suo cinema attorno ai temi come la solitudine, l’incomunicabilità, l’oppressione sociale, la famiglia, il rancore e il lutto; distopico e dissacrante, l’autore accompagna lo spettatore in un percorso spaventoso e magnetico, lo disorienta e lo affascina, come una preda – letteralmente – lo attira in una trappola dopo averlo disorientato e lusingato.
Per Dogtooth il regista greco guarda a El castillo de la pureza di Arturo Ripstein (regista messicano di Nessuno scrive al colonnello e El imperio de la fortuna), film tratto da una storia vera. In Messico nel 159 la polizia arresta un uomo, Rafael Pérez Hernández, l’uomo per tenere lontano i figli da qualsiasi tentazione del mondo corrotto aveva deciso che non sarebbero andati a scuole né sarebbero stati curati da alcun medico: dovevano vivere in uno stato naturale, lontano dal progresso del XX secolo.
Rafael dopo il lavoro radunava la sua famiglia e leggeva loro opere di filosofia e gli faceva ascolatere dischi di musica classica, descrivendo il mondo al di fuori della casa in cui erano rinchiusi come un luogo pieno di orrori, malvagità e sporcizia. Tutte le visite erano vietate, nella casa non c’erano calendari né orologi. Il 25 luglio 1959 un commando ha fatto irruzione nella casa e arrestato Rafael Pérez Hernández.
Attorno a queste suggestioni Lanthimos costruisce un film scarno e tagliente, minimalista, fatto di gesti essenziali e calcolati, ma dalla forza plateale e dirompente; l’atmosfera è tetra e raggelante, la narrazione resta sempre pacata (e quindi profondamente irritante) e la telecamera segue i protagnisti studiandoli all’interno della loro prigione color pastello. Al di là del muro c’è un’altra vita, non reste che scegliere quale faccia più paura.