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Lacci, storia di un matrimonio tra rancori e vergogne

Lacci di Daniele Luchetti apre la Biennale di Venezia 2020 Lacci di Daniele Luchetti apre la Biennale di Venezia 2020
Lacci di Daniele Luchetti apre la Biennale di Venezia 2020
Lacci di Daniele Luchetti apre la Biennale di Venezia 2020

Lacci, il nuovo film di Daniele Luchetti inaugura la Mostra del Cinema di Venezia. Storia di un matrimonio tra rancori e vergogne. Al cinema dal 1° ottobre

Lacci non è una storia d’amore. Anzi, l’amore stenta addirittura a fare da sfondo nel corso dell’intera pellicola. Scritta in collaborazione con Francesco Piccolo e Domenico Starnone (autore dell’omonimo libro da cui è tratto), l’ultima opera di Daniele Luchetti – film d’apertura della 77ª Mostra del Cinema di Venezia – è una storia di rancore, vergogna e disgregazione.

Vanda (Alba Rohrwacher) è morbosa, Aldo (Luigi Lo Cascio) invece è poco presente. Lei è irascibile, una forza della natura, una caraffa di vetro che si schianta contro il pavimento. Lui è un uomo debole, insicuro, mediocre, rammollito dalla notorietà che crede il suo programma radiofonico gli riserverà per sempre. Due forze opposte che, a malincuore, si attraggono continuamente, anche quando vorrebbero – e dovrebbero – respingersi. Finché non si annullano, confluendo nella vuotezza di un matrimonio sciatto e sfaldato. Eppure Lidia sarebbe stata la salvezza per entrambi. L’amante di Aldo – interpretata deliziosamente da Linda Caridi – crudele, odiatissima ladra di uomini. L’altra donna, quella più giovane, quella più bella, la mostruosa minaccia che spinge Vanda alla follia. Ed eccola che li segue, li scopre assieme, felici e complici come loro due non sono stati mai, scende dalla macchina e aggredisce il marito di fronte agli occhi pietosi dei figli. Poi lo ammazza, metaforicamente s’intende: lancia la radio dal balcone di casa, lo strumento del peccato, che ha tenuto Aldo lontano da Napoli e gli ha permesso di rifarsi una vita senza di loro. Infine si butta anche lei, ma non muore – almeno non clinicamente: dentro di sé è già morta da un pezzo, d’altronde “è difficile soffrire in modo simpatico”.

LacciLa relazione con Lidia avrebbe potuto farli trionfare entrambi, ma la corsa di Aldo verso ciò che brama si tramuta improvvisamente in una marcia all’indietro verso ciò che non vuole più. Che sia per abitudine o masochismo, Aldo e Vanda tornano assieme, ricongiungendosi con qualcosa che sanno di odiare. E così si trovano a invecchiare l’uno accanto all’altra, ma soli. Loro due, i rimorsi e un gatto, Labes, che conserva nel nome il destino dell’intera famiglia: rovina, caduta, sventura, vergogna.

C’è chi paragona questo film a Marriage Story (Baumbach, 2019), e in effetti Silvio Orlando nel ruolo di Aldo da vecchio, urlando nel bel mezzo di una litigata, riesce a rubare la scena come a suo tempo fece Adam Driver, mentre Laura Morante (Vanda da vecchia) lo guarda con sufficienza, compatendolo, bella e impeccabile.

Storia di un matrimonio, sì, ma molto più cinico: è un po’ come quella domanda a trabocchetto, quando al liceo la prof chiedeva chi fosse più pessimista tra Leopardi e Manzoni e tutti rispondevano Leopardi, ma in realtà era Manzoni. Perché Leopardi alla fine ambiva a una collaborazione pacifica tra gli uomini, proprio come fa intendere Baumbach nelle ultime scene del suo film, mentre Manzoni era convinto che tutti fossero portati per indole a farsi del male a vicenda, quello che accade nei cento minuti di Lacci.

Lacci

Esiste un’eredità che esula dal denaro, dalle case e dai beni materiali. Si tratta di un apparato sentimentale che i genitori spesso non si accorgono di tramandare e consiste nelle microfratture emotive a cui i figli sono involontariamente stati esposti nel corso della loro infanzia.

Le grida, i silenzi, le botte e le lacrime, tutte disfatte che andranno a costruire le persone che siamo, plasmando le idee e le opinioni che abbiamo di ciò che ci circonda. E infatti Sandro, il figlio minore della coppia, a quarant’anni ha un po’ di bambini sparsi in giro e una sindrome che lo induce a tornare sempre a capo chino dalle sue ex. Anna invece, la maggiore, è così piena di rabbia repressa e livore che potrebbe esplodere. Rimettere piede nella casa d’infanzia è spiacevole per entrambi: il nido del caos emotivo, la culla dei traumi subiti, quattro mura che continuano a perseguitarli, come una maledizione. Ma ciò che li ha devastati dalle fondamenta merita altrettanta distruzione. È la pena adeguata per averli resi, citando le parole di Starnone, persone che non saranno mai quello che vogliono, ma quello che gli è capitato.

Lacci

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