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Sconcerto. Le sinfonie sospese di Sonia Andresano risuonano per il FourteenArTellaro

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Sonia Andresano, Sconcerto, 2020, installazione sonora, Fourteen ArTellaro, allestimento 2
Sonia Andresano, Sconcerto, 2020, installazione sonora, Fourteen ArTellaro, allestimento

La Spezia. Sconcerto di Sonia Andresano ha inaugurato lo scorso sabato 22 agosto presso FourteenArtellaro, Tellaro (SP), all’interno della rassegna Osare Perdere, curata da Gino D’Ugo.

Tra i tempi sospesi di Sonia Andresano, Sconcerto è insieme un preludio e una sospensione: l’inizio di un processo di avvicinamento verso le proprie profondità e l’attesa attiva e contemplativa del rimanerci una volta giunti.

Sconcerto scricchiola, graffia, gratta, persiste. Una sinfonia s’impone dolcemente, con la naturalezza del pensiero, espande la propria dimensione e ci proietta al di fuori dello spazio percettibile col tatto e con la vista. Un vuoto pieno di suono, una cella di isolamento in cui liberare la riflessione sul pensiero stesso, sulla nostra abilità soffocata di pensare.

Un tempo di introspezione sul sé, sull’esistere, sul percepire: una presa di coscienza del rumore di ciò che continua.

Sconcerto è un percorso in purezza, elegante e sincero.

L’artista ci fa iniziare questo cammino dolcemente, accompagnandoci con l’incedere ritmato del rodere dei tarli, per condurci all’interno di noi stessi e lasciarci lì, in balia consapevole delle nostre riflessioni, dei nostri punti di fuga e dei nostri momenti morti.

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Il tarlo per sua natura impone una riflessione. Inevitabilmente. Il suono del suo rosicchiare continua, senza incalzare ma incessante, memento mori, ricordo della debolezza e inno alla celebrazione della caducità. Non racconta, non parla: esiste.

Per il tempo di Sconcerto, veniamo posti nella stessa condizione: perdiamo la necessità di raccontare, di condividere, di mostrarci, in funzione della semplice constatazione dell’esistere nell’immediatezza dell’ora. Ci affidiamo liberamente alla sensazione di venire noi stessi erosi dal tempo, lasciando cullare le nostre sensazioni dalla visione ovattata della vita che scorre e diventa convenzionalmente memoria.

Un susseguirsi di istanti che si sedimentano, inglobandoci nel loro stratificarsi e ponendoci nella condizione di ascoltare placidamente i tarli del nostro pensiero: la sensazione sonora di un tempo rallentato, la percezione visiva di un tempo accelerato, l’essere presi nel mezzo facendo parte di entrambe le condizioni senza vivere nessuna delle due, ascoltando, osservando, in uno spostamento sensoriale dettato dal suono.

O forse siamo portati a capovolgere la nostra percezione e a immedesimarci tarli noi stessi.

Racchiusi da uno spazio che ci è conforme, una dimora legnosa di cui ci cibiamo nella convinzione che ci dia nutrimento. Ed esaurita l’una ci spostiamo su un’altra, nella stante ricerca di un supporto  da consumare, restando adagiati su ciò che ci è familiare e accogliendo quell’indottrinamento che ci vuole felici nelle nostre gabbie.

Sonia Andresano ci ricorda che spesso ci dimentichiamo di scegliere di non rimanere intrappolati, di riconoscere che mangiamo il nostro guscio non per il bisogno di nutrirci ma per andare oltre un confine imposto.

Per quel tempo, per la durata di quel percorso, siamo soli con i nostri tarli, accompagnati a bearci di quell’inevitabile senso di colpa per non aver trovato un tempo per ascoltarli e per ascoltarci prima. Con dolcezza, senza una punizione, ma inesorabilmente, in un limbo proteso tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere.

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