Il robot-artista dotato di intelligenza artificiale è protagonista di una mostra personale presso l’Annka Kultys Gallery. Il titolo dell’esposizione Do Robots Dream of Electric Bees? è un citazione del celebre libro di Philip K. Dick che probabilmente ne sarebbe stato entusiasta.
L’ideatore Aidan Meller ha definito Ai-Da come “primo robot artista ultra-realistico al mondo” oltre ad essere esso stesso un’opera arte senza, ovviamente, saperlo. Nella produzione di un artista androide all’avanguardia, il progetto Ai-Da pone immediatamente domande che richiamano i temi affrontati da Dick, come ad esempio: quanto è vicina l’attuale tecnologia AI alle capacità umane? C’è qualcosa di veramente unico nell’umanità o siamo solo macchine biologiche? Cos’è la creatività? E l’arte robotica e l’arte umana sono distinguibili?
La produzione di Ai-Da è composta da opere pittoriche, sculture e video. Il modo in cui è stato sviluppata l’intelligenza dell’androide ne vuole evidenziare le potenzialità benefiche e e creative, fornendo allo stesso contemporaneamente un veicolo per esplorare le sfaccettate e complesse sfide del tardo-capitalismo, come il riscaldamento globale, le estinzioni di massa, la perdita sempre più veloce di bio-diversità e il degrado sociale dovuto allo sfruttamento lavorativo. Tutta l’esposizione ruota così attorno a queste tematiche, dai dipinti che si ricollegano al riscaldamento degli oceani e alla scultura Rulina Apis che raffigura un ape robotica, ancora una citazione di Do Robots Dream of Electric Bees? e uno spunto di riflessione sul ruolo fondamentale che svolgono questi animali così preziosi a rischio estinzione. Shattered Space: Naokae I Thalassa Doria è un citazione della performance di Yoko Ono, Cut Piece del 1964, in cui Ono sedeva da sola sul palco di fronte a un paio di forbici nel suo abito migliore e il pubblico poteva avvicinarsi a lei e tagliare pezzi del suo abito e della sua biancheria intima. Anche Ai-Da si è messo a disposizione del pubblico registrando la performance, in questo caso però il pubblico doveva vestire il suo corpo “nudo”. Al di là della dimensione apparentemente giocosa di questa performance il lavoro è invito a riflettere su come appariamo al pubblico, a quanto siamo liberi di esprimerci, a come la nostre scelte siano condizionate e ristrette.
Le domande e le riflessioni che pone il progetto sono infinite: da un lato troviamo le opere stesse che fanno emergere alcune delle criticità più importanti del nostro tempo, dall’altro l’artista stesso è un enorme quesito. Probabilmente il mistero siamo noi, e il più grosso dubbio che ci portiamo dentro è la nostra coscienza. Questa entità astratta di cui non sappiamo niente, di cui gli scienziati non sanno spiegare lo sviluppo, la nascita e la funzione. Un volta capito il nostro mistero sarà più facile sapere se siamo così speciali oppure no.