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Sangue, mappe, urine. La potenza del corpo femminile (e dell’anima curda) nelle opere di Zehra Doğan, a Milano

Prometeo Gallery Zehra Doğan Dorşin, 2016 (prigione di Mardin) Zehra Doğan, Dorşin, 2016 (prigione di Mardin)
Prometeo Gallery Zehra Doğan Dorşin, 2016 (prigione di Mardin)
Zehra Doğan, Dorşin, 2016 (prigione di Mardin)

Zehra Doğan, artista, giornalista e attivista curda arriva a Milano con la personale a lei dedicata da Prometeo Gallery. Dal 22 settembre al 15 novembre 2020 negli spazi di via Ventura.

Nata a Diyarbakır (Turchia) nel 1989, Zehra Doğan dipinge per far conoscere la storia del popolo curdo, quella delle sue donne in particolare. Fondatrice di JINHA, agenzia di stampa totalmente gestita da donne, nel 2016 è stata arrestata in Turchia con l’accusa di propaganda terroristica a favore del PKK.

Oltre alla scena politica internazionale, la sua detenzione (2 anni, 9 mesi e 22 giorni) ha fatto mobilitare anche il mondo artistico. Da Ai Wei- Wei al Museo di Santa Giulia di Brescia -che lo scorso anno ha ospitato una mostra a lei dedicata- sono state tante le iniziative a favore del rilascio di Zehra, la più iconica delle quali è stata forse il murales Free Zehra Doğan realizzato a New York da Banksy. 

Banksy, Free Zehra Dogan (2018 Photo: @ Banksy
Banksy, Free Zehra Dogan (2018)
Photo: @ Banksy

Anche all’interno del carcere, l’artista ha continuato a dipingere, riflettendo sulla violenza che governa i rapporti in un luogo come il Kurdistan, a cui è negato il riconoscimento di stato indipendente.

Beyond nasce dall’incontro tra l’artista e Ida Pisani, fondatrice di Prometeo Gallery. Il confronto tra le due donne e l’immediato desiderio di lavorare insieme hanno dato vita a una riflessione sull’identità femminile, sul corpo delle donne e sugli stereotipi ad esso correlati. 

Zehra Doğan, Özdinamik, Auto-dinamica, 2017, carcere di Diyarbakir, 67 x 56 cm, penna a sfera, caffè, curcuma, succo di prezzemolo su giornale Photo credit: Jef Rabillon
Zehra Doğan, Özdinamik, Auto-dinamica, 2017, carcere di Diyarbakir, 67 x 56 cm, penna a sfera, caffè, curcuma, succo di prezzemolo su giornale Photo credit: Jef Rabillon

Realizzati con i mezzi più vari (tappeti, teli e mappe curde, sangue mestruale, urina e miscele naturali), le opere di Zehra Doğan parlano di come il corpo femminile non sia più un carattere legato al proprio essere. Trasformato in oggetto da una politica di disconnessione da sé, questo è diventato una prigione, una mera forma di possesso.

Uscendo da questi canoni, l’artista si pone in contrapposizione a stereotipi e immagini standard, senza però rinunciare a riferimenti allegorici in cui valori assoluti si fondono con la violenza della contingenza storica. Quelle di Zehra Doğan sono donne che rivendicano la propria libertà esibendo senza paura le proprie ferite fisiche e psicologiche.

Zehra Doğan, “Fatıma'nın Eli” (Fatma's hand), 2018, Pillow case, tea, coffee, embroidery, ballpoint pen, 58 x 34 cm, location: Diyarbakir Prison, Photo credit: Jef Rabillon
Zehra Doğan, “Fatıma’nın Eli” (Fatma’s hand), 2018, Photo credit: Jef Rabillon

Ad accompagnare le opere, la performance Dress, per cui l’artista ha decorato un lungo vestito bianco con simboli calligrafici, segno dell’associazione tra donne, parole e violenza. Uno spettacolo davanti al quale il ruolo del pubblico sarà quello di ribaltare le logiche di possesso e di spoliazioni insite nella memoria individuale e collettiva.

Informazioni utili 

Beyond, Zehra Doğan

23 settembre – 15 novembre 2020

Prometeo Gallery, Via Privata G. Ventura 6, Milano

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