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Viavai, la poesia di strada più lunga del mondo su una barriera insonorizzante a San Donato Milanese

Viavai Viavai
Viavai
Viavai
11.248,64 mq di superficie, oltre 500 metri di lunghezza e più di 350 litri di vernice utilizzata. Sono numeri davvero ragguardevoli per un’opera d’arte urbana, specie se a essere realizzate non sono le grandi e ben pagate figure che decorano le pareti interne ed esterne di edifici privati ma le parole che formano il testo di una poesia di strada spontanea apparsa sul tetto di una barriera insonorizzante a San Donato Milanese, comune della città metropolitana di Milano. Perché questa è “Viavai”, la poesia di strada più grande del mondo che Mister Caos ha vergato in un luogo (il suo luogo) davvero iconico della città, instaurando con esso e con i suoi abitanti un vero e proprio dialogo.

Ma andiamo con ordine. Éil 2018 quando Mister Caos, poeta di strada cresciuto in via Di Vittorio a San Donato Milanese, decide di sviluppare la sua poesia “Viavai”, su quella che dai locali è sempre stata considerata una barriera che taglia a metà la città, isolando, di fatto, proprio la Viadal resto del centro abitato. Via che, per altro,è stata per anni teatro di quelle classiche dinamiche da “periferia”:basta cercarne il nome su Google per trovare storie di violenza, criminalità e totale assenza delle istituzioni.

Viavai
Viavai

In questo scenario non certo facile MisterCaos decide di agire, mettendo in rima il quartiere e riappropriandosi di un territorio (il suo) attraverso il più nobile metodo di comunicazione: quello del dialogo. “Era tempo di riprendersi quello spazio per rivendicarne, su chi non se n’è mai preso cura, l’uso”, dice MisterCaos. E aggiunge: “Per farlo non ho tuttavia deciso di “urlare” il mio dissenso con un gesto di pura indignazione, ma ho scelto di raccontare il luogo dove sono cresciuto in maniera dialogante e propositiva: ho così acceso i riflettori su quello che c’è, sulle mie sensazioni e sulle mie speranze, facendo cosa ben diversa da quello che fa oggi la Street Art, sempre più proiettata a fare eco mediatico di una notizia già accaduta senza essere in grado di anticiparla”.

E così “Viavai” parla al quartiere da chi il quartiere l’ha sempre vissuto, raccontando storie di sogni infranti e di speranze future, di belle memorie infantili e di inciviltà diffusa, ma con la piena consapevolezza che, comunque vada, quel quartiere sarà sempre casa. Non è un caso che, anche al livello di fruizione, il lavoro sia visibile solo da quella parte di popolazione del quartiere in grado di (o forse è meglio dire costretta a) affacciarsi sul muro: in questo modo solo loro possono vedere e capire a fondo il testo e, allo stesso tempo, avere il privilegio di fruire di un’opera realizzata in una zona impenetrabile perché legata a fattacci di cronaca e antichi pregiudizi.

“La risposta delle persone di San Donato – chiosa Mister Caos – è stata gentilissima e bellissima: sono stato ringraziato per avere messo al centro quella via che negli anni si è guadagnata una nomea che ora fa fatica a scrollarsi di dosso. E per la prima volta ho portato la TV in Via per raccontare qualcosa che non fosse spaccio, omicidi o un arresto ma arte”.

Viavai
Viavai

VIAVAI

Ritratto a una periferia qualunque – 2018

Vai via da questo viavai

che ti dimentica in fretta,

che ti sta sempre col fiato sul collo

ma quando hai bisogno

non ti da retta.

Via perché qua a tratti

quasi non si respira,

i materassi sui marciapiedi,

i lampioni spenti o intermittenti,

i parcheggi vuoti

e le auto comunque in doppia fila.

Via dalle urla,

tra balconi dei vecchietti,

che per capirle devi sapere

circa cinque, sei o sette dialetti.

E ancora:

le spinte e le sberle in cortile,

a casa a prendere il resto,

i fuochi d’artificio

anche quando non è festa.

Via con le mie cicatrici,

l’unica cosa che resta.

Via da dove i miei amici

ancora non vogliono entrare.

Dal grigio, la rabbia e la nebbia,

dalle scuse di una via chiusa

dai sottopassi che puzzano di piscio

e là, la mia vecchia casa.

Via da questo via vai,

unità di misura con cui vivo le cose,

e adesso che non ci sono

è un chilometro di parole confuse.

Via dal mio scudo,

che di fatto era fatto di sole coperte,

dai sogni con cui ho intasato i cassetti,

e dagli stipiti stretti

delle porte che per quelli come noi

non erano mai aperte.

Via dalle partite infinite di pallone

e dalla mia scuola elementare,

dai tramonti perforati dagli aerei per Linate,

dalla ferrovia che ci divide,

con sopra il treno

ogni mezz’ora

per scappare.

Via perché se vieni da qui

nessuno ti prende sul serio

perché tutto questo lo capisce solo

chi si concede davvero:

La rabbia, il rispetto e il riscatto,

il cuore aperto di una via chiusa,

i posti che mi hanno cresciuto

e il viavai

che io chiamo casa.

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