Giuliano Vangi: l’unico artista vivente al mondo cui è stato dedicato un museo in Giappone, i suoi ultimi lavori partiranno a breve verso la Corea del Sud.
Andranno a completare, in perfetta fusione con l’architettura, una grande chiesa immersa nel verde progettata da Mario Botta, l’architetto di fama internazionale che si è speso per la centralità del sacro e ha affidato al linguaggio dell’arte una pregnante testimonianza del divino. Vangi e Botta, due personaggi del ‘900 che hanno la semplicità, se non l’umiltà, dei grandi. Dei giganti.
Dopo un iniziale linguaggio dell’astrazione e un periodo di permanenza in Brasile, Vangi ha percorso le vie dell’arte, nell’arco di un cinquantennio, testimoniando la storia e la vita con una personale figurazione: la sua scultura è nata dal marmo, dal bronzo, dal granito, dal legno modellato fra la memoria di un linguaggio arcaico e uno stile inconfondibile che acuisce il reale. Un realismo intensificato di volti e figure declinato anche attraverso i disegni dal vero: i suoi modelli sono amici, parenti, conoscenti. Ha raccontato l’agire e il patire umano nelle diverse sfaccettature dell’esistenza, la solitudine, il rapporto con la natura. Ha plasmato figure di uomini, donne, bambini, talora, dipinte con inaspettate cromie e grandi occhi di smalto, di vetro.
Ha interpretato temi religiosi con armonia, profondità spirituale, eleganza. Il Crocifisso e il Presbiterio della Cattedrale di Padova, l’altare, l’ambone del Duomo di Pisa, la grande scultura al nuovo ingresso dei Musei Vaticani, un ambone per la chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo dedicata a Padre Pio e realizzata in collaborazione con Renzo Piano. Il più recente trittico nella cattedrale di Arezzo. Oggi ha quasi novant’anni Vangi, incurante della fatica fisica che comporta il suo lavoro e l’energia di un giovane che abbraccia la vita con rinnovata passione, lo sguardo di chi vede oltre il contingente. Cordialissimo e attento, si ha la sensazione che il suo pensiero corra più in fretta rispetto a quello degli altri, l’esser-ci è qualcosa che non fa i conti col tempo. Parafrasando, con licenza, le parole del filosofo Manlio Sgalambro, Giuliano Vangi ci appare sollevato dai dolori e dagli sbalzi di umore, oltre le correnti gravitazionali, al di là dello spazio e della luce, senza invecchiare.
Nato in Toscana a Barberino di Mugello, Pesaro diverrà la sua città di adozione, dove era arrivato nel 1951 per insegnare all’ Istituto d’Arte Mengaroni. A Pesaro, durante il confinamento per contenere la diffusione da Coronavirus, immerso nel silenzio e nella solitudine che, del resto, gli è congeniale, ha lavorato al grande Crocefisso ligneo destinato alla chiesa di Namyang, non lontano da Seul. Una Crocefissione che abbiamo potuto vedere nel suo studio di Pesaro, nelle vicinanze di quel mare che è per Vangi fonte di ispirazione. Un’opera alta 3,60 metri che a Seul sarà collocata a 9 metri di altezza, un corpo che muore e nello stesso tempo celebra la vita. Una Crocefissione che ha in sé il carattere di una Resurrezione. E’ il risultato straordinario di una forza creativa, Alfa e Omega di un’arte che coniuga la perfezione degli opposti.
La figura di un Cristo giovane, un nipote di Vangi il suo modello: grandissimi gli occhi, lo sguardo sereno e penetrante, i capelli e la barba con le sfumature di un’alba chiara. Scarni il busto, i fianchi, il costato senza una ferita profonda. Una tonalità luminosa dipinge il corpo, i chiodi che trafiggono mani e piedi sprigionano luce. Sono le grandi braccia, con vene che si percepiscono pulsare insieme a quelle delle gambe, ad emergere, a consegnarci quel grande abbraccio che nella chiesa di Seul accoglierà tremila fedeli.
Ho voluto una Crocefissione come messaggio di speranza, di positività. Ho eliminato le caratteristiche di sofferenza che, di consueto, una Crocefissione testimonia, dopo numerosi studi e prove ho voluto dare voce alla speranza di una rinascita che possa coinvolgere l’umanità intera
Per la grande cattedrale di Seul immersa nel verde, che potrà accogliere tremila fedeli, la genialità di Vangi e Botta ha previsto una installazione unica nel suo genere. A fare da corona al Crocefisso ligneo saranno due grandiosi pannelli di vetro, sviluppati per 40 metri in lunghezza e 3 metri di altezza, che inglobano due disegni del Maestro Vangi trasferiti sul vetro con una tecnica serigrafica sperimentale. Pesantissime lastre di vetro che nella cattedrale saranno sospese come fossero nel vuoto, agganciate a cavi d’acciaio. Le abbiamo potuto vedere, prima della loro partenza, in occasione di un evento unico per la stampa italiana, presso la vetreria Montanari di Casinina PU, l’azienda che ha curato la delicata realizzazione dell’opera finale. Una eloquente Ultima Cena e una armoniosa Annunciazione dove le figure sono riprodotte di fronte e di retro, mostrando la scena come non si è soliti vedere. Opere di una straordinaria espressività che ci consegnano la forza di un’arte destinata ad attraversare il tempo. Per una inarrestabile emozione da Sindrome di Stendhal. E si vorrebbe restare a lungo con loro.