Dal ritratto al nudo, passando per il paesaggio. Al Centro Culturale di Milano, Sguardi a fior di pelle raccoglie una cinquantina di fotografie che compongono un viaggio attraverso il linguaggio fotografico. Curata da Roberto Mutti, la mostra è visitabile fino al 25 ottobre.
Realizzata in collaborazione con Giuliani, Sguardi a fior di pelle raccoglie autori italiani e internazionali, che dalla metà dell’Ottocento sino a oggi si sono misurati con diversi generi fotografici: è un viaggio nel tempo attraverso i loro sguardi, da quelli più rigorosi, è il caso di Giorgio Sommer con uno scatto dell’Arco della Pace del 1889, a quelli più avanguardistici e astratti di Romana Zambon, Lucrezia Roda o ancora Davide Mosconi con fotografie degli anni duemila, in cui i soggetti subiscono una trasfigurazione.
Cinque le sezioni in cui è suddivisa la mostra, ognuna delle quali evoca l’evoluzione del gusto, attraverso fotografie scattate in anni differenti. Si parte da Human, che indaga l’evoluzione del genere del ritratto: una volta esaurito l’effetto sorpresa che generava il vedersi ritratti in uno scatto, i fotografi più che sottolineare la verosimiglianza palpabile caratterizzano le fotografie per il loro stile. Ecco dunque che entra in scena Maurizio Galimberti che ritrae Carla Fracci con una fotocamera a obbiettivo rotante, capace di allargare il campo visivo di chi osserva e catturare il senso del movimento.
Si passa poi al tema del Nudo. Soggetto caro a tutte le arti, il realismo della fotografia ha obbligato i fotografi a compiere scelte particolari, a partire dalla costruzione di veri e propri set fotografici dotati di luci e fondali ad hoc. Qui il passaggio si compie dai primi seducenti scatti degli anni ’10 e ’20, a quelli poetici degli anni ’80 e duemila. Esempio emblematico, lo scatto di Francesco Radino, Point Lobos (1989): autore ironico e raffinato, utilizza la figura retorica della sineddoche per alludere attraverso il particolare del braccio all’intero corpo della donna, che a noi appare celato. Vediamo così l’evoluzione dello stile che arriva a ritrarre un nudo senza il nudo.
La terza sezione è invece dedicata al Paesaggio. Qui si intervallano scatti di artisti come Gianni Maffi e Cristina Omenetto che si sono misurati con il paesaggio urbano e naturale, anche se mai in modo banale, a fotografie in cui il paesaggio è la nuova chiave di ricerca per soluzioni inedite. È questo il caso di Enrico Cattaneo con Paesaggio (2005). È il titolo a suggerirci di trovarci di fronte a un cielo all’alba, ma di fatto è l’esito dell’intervento di diversi agenti chimici fatti sgocciolare sulla carta fotografica. Non manca di stupire anche Prima del giorno (2001) di Franco Donaggio: il paesaggio architettonico ritratto non esiste. O meglio, parti di monumenti, frammenti di strade, porzioni di cielo realmente fotografati dall’autore, sono in questa foto riassemblati in seguito a una raffinata elaborazione di postproduzione.
La mostra prosegue con Ricerca, tema che riunisce quegli autori che considerano la fotografia una vera e propria espressione artistica attraverso la quale avanzare proposte audaci e originali. È il caso di Luigi Erba che inserisce la linea nera, che nei negativi separa i fotogrammi, come elemento costituivo dell’immagine. Ne nasce una narrazione a sequenze, la quale avanza per contrasti e analogie, portandoci a riflettere sulle potenzialità del linguaggio fotografico. Invece, la ricerca per Aldo Tagliaferro si sofferma sulle molte possibili letture di un’immagine, quando questa viene decontestualizzata e così sottoposta alle interpretazioni soggettive di chi scatta.
A concludere il percorso è la sezione Urban, che considera la città come luogo magico dove convivono passato e presente. Un presente fatto di nuove architetture sempre più avanguardistiche, ma soprattutto di persone che lo abitano. E a raccontare la gente di città ci pensa Gianni Berengo Gardin con lo scatto Sul vaporetto, Venezia (1960) in cui il gioco di riflessi sui vetri ci disorienta e ci incuriosisce allo stesso tempo. Della città di Milano Virgilio Carnisio ha documentato i vecchi cortili e le case a ringhiera, temendo che la modernità potesse cancellare realtà così simboliche.
Le fotografie in mostra testimoniano l’evoluzione della fotografia come prodotto dell’ingegno sia dal punto di vista estetico sia tecnico. Icona di questo passaggio è Le Violon d’Ingres revient au lit, scattata da Occhiomagico (Giancarlo Maiocchi), nel 1994, con una Polaroid di grande formato, per reinterpretare sessant’anni dopo la celebre fotografia di Man Ray (del 1924), il quale a sua volta citava il dipinto di Jean-Auguste Ingres. In un gioco di citazioni e rimandi, l’autore unisce la classicità della grande pittura all’audacia della ricerca. Questo il senso della mostra: un viaggio alla scoperta dell’evoluzione del linguaggio fotografico.
Il titolo, Sguardi a fior di pelle, fa riferimento alla “pelle” delle fotografie: si può dire che nel corso della sua vita, la fotografia abbia più volte cambiato pelle passando dal metallo del dagherrotipo al vetro delle lastre fino agli innumerevoli tipi di carta su cui le immagini sono state impresse. Una collezione diventa così occasione per riflettere su chi siamo e sul nostro posto nella storia.
Informazioni
Centro Culturale di Milano
Largo Corsia Dei Servi, 4
Sguardi a fior di pelle
6-25 ottobre 2020
Mostra fotografica a cura di Roberto Mutti
In collaborazione con Giuliani Spa