Il robot ROV, Remotely Operated Vehicle, ha individuato a 640 metri di profondità un piccolo tesoro di anfore, marmi e laterizi di epoca romana
Si chiama ROV, che sta per Remotely Operated Vehicle. Ed è l’ultima frontiera per l’archeologia “estrema”, se così possiamo chiamare qualcosa che si svolge a centinaia di metri sotto la superficie del mare. Ne avevamo parlato a fine agosto, quando il robot fu utilizzato in Sicilia per studiare a fondo due relitti romani nelle acque di Catania. Uno adagiato su un fondale di circa 55 metri e caratterizzato dalla presenza di centinaia di anfore, di 5 tipologie diverse, che contenevano probabilmente vino, databili fra la fine del II secolo a.C. e la metà del I secolo a.C. Il secondo su un fondale di circa 40 metri vicino alla costa di Ognina, poco a Nord del capoluogo, con un carico di tegole rettangolari.
Ora se ne torna a parlare – grazie a Focus – perché proprio un ROV, il robot sottomarino Multipluto-2, ha svelato un piccolo tesoro di anfore, marmi e laterizi di epoca romana perfettamente conservati all’interno di una fossa nelle acque dell’isola di Pianosa, nell’Arcipelago Toscano. Un carico databile al II o al I secolo a.C., individuato a 640 metri di profondità grazie a un’operazione che ha visto insieme pubblico e privato. Da una parte il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari, dall’altra Guido Gay, ingegnere titolare della Fondazione Azionemare.
Nell’estate del 2019 Multipluto era già servito per realizzare la fotogrammetria di un altro relitto di epoca romana, datato al I secolo a.C.. Una nave affondata a 280 metri di profondità a nord-ovest dell’isola della Gorgona, a 34 km dalla costa toscana, che trasportava un carico di marmi e anfore.