Dal 9 al 16 ottobre si è tenuta la prima edizione online di Frieze Londra e Frieze Masters. A cinque mesi di distanza dal primo “esperimento” digitale di Frieze New York, un’analisi di come si sono evolute le cose per galleristi e collezionisti.
In una Gran Bretagna tutt’altro che libera dall’emergenza sanitaria e con una tensione globale che cresce sempre più, sarebbe stato impensabile aprire le porte di due eventi che l’anno scorso hanno registrato un’affluenza di 125.000 visitatori durante i giorni di apertura. Riflessione valide anche per tutti gli altri eventi-satellite che normalmente inaugurano durante la Frieze Week. Unico appuntamento a svolgersi regolarmente nella sua versione fisica -ridotta- è stata la fiera di arte contemporanea africana 1-54, che ha aperto le porte dall’8 al 10 ottobre alla Somerset House registrando un alto numero di ingressi, interessante indicatore del desiderio di ritornare al “vecchio modello” di fiera.
Tuttavia, in questa situazione di incertezza e disagio, non ci sono solo notizie negative per il mondo dell’arte. Pare infatti che in questi mesi di cambiamenti, la capacità di adattamento alla “nuova normalità” stia dando dei risultati. Se da una parte gallerie e fiere hanno fatto di tutto per rinnovarsi e creare contenuti digitali il più possibile user-friendly, dall’altra è cresciuta anche la confidenza dei clienti nell’utilizzo dei nuovi mezzi. Solo un anno fa sarebbe stato impensabile comprare opere stimate migliaia di dollari senza neanche vederle di persona, mentre ora un Roy Lichtenstein offerto online da Christie’s raggiunge i 46 milioni di dollari senza troppe difficoltà.
In questo clima di fiducia nell’innovazione, Frieze non resta indietro, proponendo ai propri utenti una piattaforma online a metà tra la realtà virtuale e le funzionalità dei social network. Alla ricerca per parola chiave si aggiunge la possibilità di “mettere like” e salvare le opere di proprio interesse, oltre a poter chattare in diretta con il personale delle 259 gallerie.
Gli strumenti messi a disposizione dalla fiera si accompagnano però anche a un nuovo modo di concepire lo spazio virtuale che le gallerie stesse hanno imparato a mettere in atto. Se inizialmente si cercava di trasferire online tutto ciò che era fisico senza alcun cambiamento, ora i galleristi hanno capito come reinterpretare la propria offerta per adattarsi meglio al nuovo mezzo. Parola di Victoria Siddall, global director di Frieze, che sottolinea l’enorme progresso che c’è stato nel guardare -e comprare- arte online, tanto che alcuni galleristi hanno dichiarato di aver raggiunto lo stesso livello di vendite registrato nella scorsa edizione.
Più di 10 milioni di dollari di vendite durante il primo giorno della vip preview da Hauser&Wirth, che per il proprio stand ha puntato sulla realtà aumentata e su nomi come Mark Bradford (3,5 milioni $ per Q7), George Condo (1,85 milioni $) e Simone Leight, neo-nominata rappresentate degli Stati Uniti alla prossima Biennale d’arte di cui è stata venduta una ceramica a $250,000.
Da segnalare anche un Alex Katz da $650,000 (Vincent and Vivien, 2016) da Thaddeus Ropac e Cursive (2020) di William Kentridge ($600,000) dalla sudafricana Goodman Gallery. Per quanto riguarda le fasce di prezzo più contenute, buoni i risultati di Richard Saltoun (opere di Renate Bertlmann e Marinella Senatore con prezzi tra $13,000 e $65,000), Christian Andersen -che presentava due nuovi dipinti di Julia Haller, venduti rispettivamente a $11,000 e $7,000- e l’Instituto de Visión, arrivato da Bogotà con cinque opere su carta di Abel Rodríguez vendute dai $5,000 ai $5,500.
Interessante la soluzione adottata da alcune gallerie di ricreare il proprio stand virtuale all’interno delle sedi fisiche, in modo tale che chi si trovasse a Londra potesse avere un’idea delle opere portate a Frieze anche dal vivo. Una doppia strategia che sembra funzionare, visto il successo registrato da Timothy Taylor per la personale di Kiki Smith, le cui opere esposte in galleria sono state subito acquistate dal sito della fiera.
Stessa cosa alla Lisson Gallery, che ha presentato a Frieze i nuovi dittici di Laure Prouvost. Se qualcuno avesse voluto vederli da vicino prima di spendere $41,000 per acquistarne uno, sarebbe bastato entrare nella sede di Marylebone per vedere da vicino come l’artista francese sia arrivata a reinventare il linguaggio con le sue ultime opere.
Qui si è recata anche Muriel Salem, proprietaria di una delle più importanti collezioni di arte contemporanea di Londra. Alle pareti della sua casa affacciata su Regent’s Park si alternano opere di Baselitz, Richter, Martin Kippenberger, Maria Lassnig e via dicendo. Intervistata da ArtnetNews, ha però dichiarato di non aver preso parte alla versione digitale di Frieze, definendosi una “donna d’altri tempi”, che ha bisogno di vedere le opere prima di acquistarle. Alle ore passate a spulciare tra gli stand virtuali ha preferito un giro tra le 12 opere collocate nel parco per Frieze Sculpture, ennesima dimostrazione del valore che gli spazi aperti continuano a rivestire in questo momento.
Non è ancora del tutto chiaro se il giudizio sul mondo dell’arte 2.0 sia più positivo o negativo. Certo è che l’utilizzo di piattaforme online rappresenti per i galleristi uno strumento prezioso per raccogliere dati utili al proprio business. Visualizzazioni, tempo di permanenza nel sito e provenienza degli utenti sono informazioni essenziali per capire come attrarre gli utenti. E anche per far conoscere loro nuovi artisti, come sottolinea Nadia Gerazouni, direttrice della galleria The Breeder (Atene).
La cosa più difficile è sicuramente cercare di ricreare il clima dinamico e scoppiettante di una fiera, dove tanti acquisti si concludevano tra le chiacchiere di galleristi e visitatori. Ciò che continua a mancare in epoca Covid resta la dimensione sociale, difficilmente ricreabile online.
Il giudizio resta dunque sospeso, a metà tra una confidenza sempre maggiore nell’utilizzo dell’online e una voglia che tutto torni come prima. Per il momento, in ogni caso, un ritorno delle fiere così come le conoscevamo sembra impossibile. E se la modalità ibrida sembra ormai essere stata accettata dai più, resta da vedere se potrà essere d’aiuto a un settore che nella prima metà del 2020 ha registrato un calo delle vendite pari al 36% rispetto alla media. Non resta che aspettare che Sotheby’s, Christie’s e Phillips inaugurino le grandi aste di fine mese per fare ulteriori ipotesi sul futuro del mercato.
Fonte: Artsy.net