“Il buto è un tentativo di avvicinarsi alla morte pur essendo ancora vivi”. Nel documentario di Arte in italiano, un viaggio attraverso la danza delle tenebre, una disciplina nata in Giappone nei primi anni ’60 come reazione ai codici artistici tradizionali.
L’ideogramma giapponese della parola butoh è composto da due elementi: bu, ovvero danza, e toh, ovvero passo, piede. Letteralmente si traduce in danza camminata, pestata con i piedi. La nascita di questa disciplina viene fatta risalire alla performance Kinjiki di Tatsumi Hijikata e Yoshito Ohno nel 1959: lo spettacolo, basato sull’omonima novella di Yukio Mishima, aveva per argomento l’omosessualità. L’immagine finale di Yoshito Ohno con un pollo vivo tra le gambe fu talmente oltraggiosa per la platea che lo spettacolo fu brutalmente censurato.
Oggi, la danza buto è un fenomeno culturale internazionale. Mantenendo un’estetica condivisa, varia a seconda di chi la interpreta: può essere selvaggia, spirituale, violenta, o ancora sensuale, catartica, decadente. Spesso il ballerino è nudo, dipinto di bianco, adotta le smorfie tipiche del teatro giapponese e alterna convulsioni frenetiche e movimenti lenti.
Nel documentario di Arte in italiano, la ballerina e coreografa lussemburghese Sylvia Camarda va alla scoperta della danza Buto contemporanea tra Tokyo e Parigi.