Il MiBACT ha recentemente acquistato il dipinto Ritratto di giovane gentiluomo di Fra Galgario e lo ha affidato alla Direzione Regionale Musei Lombardia. Da qui, la scelta di dare il capolavoro in comodato all’Accademia Carrara di Bergamo. Il museo, che possiede 30 opere del maestro, lo ha da subito esposto – con l’impegno di farlo per i prossimi 5 anni – nella sala dedicata al pittore bergamasco.
Come ogni dipinto, anche i ritratti meritano un’osservazione approfondita. Se non ancora più intenso che in altre circostanze, lo sguardo che indaga la raffigurazione di un personaggio è tenuto a rintracciare l’elemento, la chiave di volta, il grimaldello in grado di lasciarci accedere al meccanismo psicologico del soggetto rappresentato. Nel caso di Ritratto di giovane gentiluomo, Fra Galgario pone l’accesso per lo stato d’animo della figura nella sua mano. Il ragazzo cerca infatti, con la mano sinistra, di abbottonare ulteriormente la giacca. Perfezionismo o impaccio? Qualunque sia la ragione del gesto, appena accennato nella sua posa composita, cela una vena di insicurezza e il tentativo di rimediare, all’ultimo, sistemando la propria messa in scena.
Il pittore la coglie e la immortala, elevandola a chiave interpretativa del ritratto. Una certa tensione a darsi un contegno adeguato, a sistemarsi al meglio, emerge anche dallo sguardo serio ma annoiato, spavaldo ma rassegnato ad accondiscendere al ritratto. Questo tono sentimentale contrastato si allarga sulla cromia verde-grigia che domina il dipinto, dove emergono o il bianco della camicia e il nero della cravatta a farfalla e del tricorno. Immortalato a mezza figura, con la mano destra appoggiata sul fianco e un’elegante giacca color tortora, il gentiluomo posa in uno schema compositivo vicino alla ritrattistica ufficiale.
Nel giovane gentiluomo si è proposto in passato di riconoscere il conte Francesco Maria Tassi, amico di Fra Galgario e suo primo biografo. Si tratta di un’ipotesi intrigante, che però non ha trovato conferme. Le vicende collezionistiche della tela, rimasta sempre a Bergamo, riconducono comunque a quella piccola nobiltà cittadina che l’artista ha ritratto per tutta la vita, coniugando l’esuberanza della tradizione coloristica veneta con la vocazione lombarda a una raffigurazione vera e fedele della realtà.