Artista dalla pratica multiforme, Vittorio Grassi è protagonista a Roma, dove la Galleria Prencipe gli dedica una mostra.
Seguendo, dal colle del Gianicolo, il morbido declivio occidentale, variegato dal vivace quartiere di Monteverde Vecchio, allogata in una strada stretta e defilata, troviamo la Galleria Prencipe, intitolata al pittore e incisore napoletano Umberto Prencipe (1879-1962). Le luci interne, accentuate dal precoce crepuscolo ottobrino, rifrangono dai vetri un allestimento sobrio e ordinato, appena movimentato dall’andirivieni di un parco numero di riguardanti. Entriamo. La Galleria custodisce l’archivio Prencipe ed è anche sede dell’Archivio dell’Ottocento romano, ci informa la gallerista e storica dell’arte Sabrina Spinazzè.
La mostra che stiamo visitando – è la serata inaugurale – è dedicata ad un amico dell’artista eponimo, Vittorio Grassi (Roma 1878 -1958), uomo d’ingegno multiforme: fu pittore, incisore, medaglista, grafico filatelico, ceramista, pubblicitario, illustratore (nel 1925 fu chiamato da Gentile a dirigere la sezione illustrativa dell’Enciclopedia Italiana), scenografo, costumista, curò l’allestimento di mostre e musei, si cimentò nell’arte del vetro, del tessuto e del gioiello. Rilevante anche la sua attività didattica (in particolare, fu docente di scenografia all’Accademia di Belle Arti ed alla facoltà di Architettura dell’Università la Sapienza).
La selezione delle opere in mostra offre una sintesi di questa frenesia creativa alimentata dalla sensibilità dell’artista alla temperie culturale dei primi del ‘900 – gli anni della sua formazione – segnata dal vasto movimento secessionista che, sulla scia della lezione di John Ruskin e di William Morris inseguiva il sogno di un’arte totale, un’arte cioè che pervadesse ogni minimo aspetto della vita; dalla corrente simbolista, da cui mutuò l’attenzione per i rapporti musicali tra visione e stati d’animo; dalla Confraternita dei Preraffaelliti, con il loro sguardo sognante sull’antico. Fu inoltre vicino al gruppo paesaggista dei XXV della Campagna Romana (fu amico, in particolare, di Duilio Cambellotti e di Ettore Ferrari).
“Vittorio Grassi abbandona la pittura da cavalletto intorno al ‘20” – spiega Francesco Tetro, curatore della mostra – “per dedicarsi interamente al mondo della scenografia teatrale e dell’illustrazione: diversi scenografi e registi televisivi furono suoi allievi, come Giulio Coltellacci, il suo allievo preferito”. Con una sintesi azzardata, ci piace pensare che la televisione debba qualcosa a William Morris ed a quel sogno contagioso di arte totale di cui oggi rappresenta, indubbiamente, la declinazione più “democratica” e pervasiva.