Olafur Eliasson raggiunge le vette del monte Granwand, Alto Adige. L’opera, posta nei pressi del ghiacciaio Hochjochferner, intende stimolare un rapporto simbiotico tra il visitatore e la montagna. L’obiettivo finale è trasformare la percezione della questione ambientale da problema astratto a minaccia concreta.
La questione ambientale, strettamente legata al riscaldamento climatico, dovrebbe essere il primo problema a tormentarci ogni mattino. Eppure così non è, complice forse la sua apparente natura astratta. Per quanto ci pervada totalmente, avvolgendo il nostro mondo come un abbraccio troppo caldo, la silenziosa catastrofe che ci minaccia sa come nascondersi.
L’ultima glaciale installazione di Olafur Eliasson ha dovuto raggiungere le vette dell’Alto Adige per mettere in luce, una volta di più, questa drammatica criticità. Per raggiungere Our glacial perspectives occorre camminare lungo un sentiero lungo più di 410 metri e che supera i 3.000 metri d’altezza. L’opera si articola infatti lungo il monte Grawand, fra le Alpi Venoste in Alto Adige, e vi si può accedere dal ghiacciaio Hochjochferner, attraverso la funivia della Val Senales. Un palcoscenico unico per l’artista danese, che mette nuovamente in scena un’installazione spettacolare con l’obiettivo di sensibilizzare i visitatori alla questione ambientale. Sono diverse infatti le componenti dell’opera che permettono una riflessione profonda sul nostro pianeta e sulla sorte a cui sta andando incontro.
L’opera si struttura come un lungo percorso verso un’architettura astronomica che ricorda una sfera armillare, un antico modello dell’universo dove gli anelli di ottone a incastro sono disposti in un globo per rappresentare il movimento dei diversi corpi celesti intorno alla Terra. Accedendo alla piattaforma, lo spettatore può utilizzare il padiglione per indagare e interrogare il cielo. Il calibrato intrecciarsi degli anelli consente di seguire il percorso apparente del sole in un dato giorno. L’anello superiore segue il percorso del sole nel solstizio d’estate, l’anello centrale segue l’equinozio e l’ultimo il solstizio d’inverno. Ogni anello è a sua volta suddiviso in lastre di vetro rettangolari che coprono un arco di 15 minuti del movimento solare, consentendo allo spettatore di determinare l’ora del giorno in base alla posizione della stella. Il colore dei pannelli di vetro, che passa da una gradazione del blu all’altra, segue la scala del cianometro ed esalta l’intensità cromatica del cielo.
Per raggiungere la sfera è necessario prima percorrere un suggestivo sentiero intervallato da nove archi metallici. Cinque di questi sono bianchi e rappresentano le cinque ere glaciali nella storia della Terra, mentre i quattro neri delimitano i periodi intermedi. La distanza che li separa corrisponde all’incirca alla durata effettiva delle diverse ere glaciali. Un cammina lungo il quale un visitatore percorre una sorta di linea temporale del pianeta e del ghiaccio, elemento essenziale per raffreddarlo e renderlo così abitabile per l’uomo.
Con questa affascinante installazione Olafur Eliasson cerca dunque di far entrare in simbiosi il visitatore con l’ambiente montuoso, suggerendo inoltre una connessione panica con il pianeta intero. L’intenzione è quella di creare un relazione empatica in grado di coinvolgere direttamente il soggetto, in grado ora di percepire il problema ambientale come personale, urgente, incombente.
Basta pensare che dal 1850 i ghiacciai alpini hanno perso il 40% della loro superficie e metà del loro volume. La loro capacità di riflettere la luce solare nello spazio si è ridotta, accelerando ulteriormente il riscaldamento. La temperatura nelle Alpi si è alzata addirittura di 2 gradi Celsius nell’ultimo secolo.
Il punto di non ritorno si avvicina: il problema è oggi, tocca a noi affrontarlo.