Nella cornice della mostra RI-SCATTI. Per le strada mercenarie del sesso, curata da Diego Sileo e presentata al PAC-Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, si è svolta, nelle giornate di sabato 17 e 24 e domenica 18 e 25 ottobre 2020, l’installazione teatrale NoBody- Viaggio sensoriale attraverso la tratta e lo sfruttamento sessuale, un progetto ideato dalla compagnia teatrale FavolaFolle, sotto la regia di Carlo Compare, in collaborazione con l’associazione Lule Onlus.
Il tema dell’evento? Lo sfruttamento di numerose donne costrette ad intraprendere la via della prostituzione, argomento certamente delicato che, ancora oggi, nel nostro Paese pare essere un tabù. La letteratura novecentesca, dai racconti minuziosamente perversi di Henry Miller alle delicate memorie delle “puttane tristi” di Gabriel Garcìa Marquez, ha spesso raccontato la maestosità del corpo femminile sacrificato e del desiderio sessuale unicamente sotto uno sguardo maschile.
Nella cinematografia la situazione si capovolge grazie al tagliente cult Monster (2003), nel quale la regista Patty Jenkins da voce alla vita travagliata della prostituta Aileen Wuornos, interpretata dalla premiata Charlize Theron.
In NoBody il punto di vista si libera dalla canonica distinzione tra clienti e ragazze. Il punto di vista è il nostro, quello di noi spettatori partecipi. Dimenticatevi della quarta parete e provate ad immergervi in una dimensione acre tra il reale ed il teatrale. La particolarità dell’esperienza proposta consiste proprio in questo: lasciarsi totalmente trasportare in un harem di suoni, luci e suadenti movenze che NoBody riesce a rappresentare magnificamente. Non si tratta di un semplice spettacolo teatrale, né di una performance artistica e tanto meno di un’installazione interattiva.
Nulla di tutto questo potrebbe descrivere pienamente il viaggio sensoriale di NoBody, reso ancor più introspettivo a causa delle restrizioni odierne che permettono al singolo di beneficiarne in solitudine. La scenografia del progetto si basa sull’esperienza fatta da FavolaFolle per le vie della prostituzione, nella quale i membri della compagnia hanno potuto relazionarsi direttamente con le ragazze.
«Non potendo far vivere al pubblico un’esperienza di prostituzione, e neanche di cliente, l’unica cosa che ci sembrava onesta, sincera e che poteva funzionare era fargli vivere quello che abbiamo provato noi tramite un’installazione» racconta Carlo Compare, regista di NoBody. Ed ecco che il fruitore diviene lui stesso protagonista, motivo per cui, sin dall’ingresso, gli viene chiesto di rispondere ad una domanda scegliendo quale pezzo d’asfalto (ricordante una pietra) afferrare, se quello nella scatola del Sì o del No.
“Sei mai andato con una prostituta?”, rivolta agli uomini, “Pensi che un componente della tua famiglia possa essere stato con una prostituta?”, rivolta alle donne; questi sono i quesiti ma non è la risposta che conta, non si tratta di un sondaggio statistico, quel che importa è far abbassare la guardia allo spettatore. Citando nuovamente il regista: «Il mio mestiere è quello di comprendere gli esseri umani e raccontarli, non è quello di modificarli. Io di certo non avevo l’intenzione di criminalizzare il cliente, quello che mi interessa è che tu da oggi non puoi più far finta di essere inconsapevole».
Stravolgendo le regole della prossemica NoBody ci accompagna nel mondo agghiacciante della prostituzione introducendoci, innanzitutto, con una chiacchierata dai toni informali, in grado di regalarci un sorriso amaro, per poi trascinarci in scenari differenti, all’insegna di un percorso dantesco, passando da una bolgia all’altra.
Infatti è importante considerare come lo spettatore viene introdotto nella scena iniziale. La scenografia di quest’ultima è articolata in una stanza ricoperta da un cellofan sudicio; con agli angoli pacchetti di sigarette accartocciati su aridi falò; scrocchianti foglie morte sotto i piedi e l’ingresso dirompente di una ragazza che, guardandoti dritto negli occhi, ti domanda: “Hai visto Schumacher?” soprannome dato a uno dei clienti che sfreccia sempre con la sua auto.
Le scene successive invece, caratterizzate da una vena più erotica, ci mostrano la quotidianità delle ragazze di strada, dagli occhiolini ammiccanti agli spogliarelli danzanti, dagli sguardi di desolazione all’atto in sé, visto in maniera estremamente originale da uno spioncino. L’occhio di noi visitatori, spaesato per la carica di emozioni nuove che sta vivendo, rimane inerme dinnanzi a quelle oscenità e può, per l’appunto, solo guardare da lontano rimanendo paralizzato da un muro.
L’impotenza straziante, che possiamo provare anche quotidianamente circolando per le strade di periferia, giustifica la nostra omertà, ci da il diritto di sentirci vittime ma, al contempo, carnefici. Spontaneo è domandarsi come poter sopperire a questa tragica realtà. Una soluzione ci è stata offerta dal magistrale lavoro del PAC che con la mostra Ri-Scatti ha dato la possibilità ai visitatori di acquistare le fotografie esposte per contribuire ad aiutare economicamente Lule Onlus.
Un altro rimedio, invece, a cui tutti noi possiamo affidarci è la conoscenza e per concludere con le parole del regista:
Quello che per me fa veramente la differenza, ed è il motivo per cui faccio questo mestiere, è la vicinanza che tu puoi sentire con le persone. Queste ragazze sono, per l’appunto, senza corpo, No Body ma al contempo nobody, nessuno, ma se sanno che per qualcuno esistono conta tantissimo. […] Io penso che la chiave del cambiamento sia la cultura, sia la conoscenza perché se io conosco le cose cambiano, reagisco in maniera diversa”
Giunti alla fine di NoBody è alquanto difficile trovare delle parole per concretizzare l’esperienza vissuta, si ha il fiato sospeso e la testa colma di pensieri. Un’ottima iniziativa per aiutarci a riflettere profondamente con la speranza che si possa tornare il prima possibile a rivivere la magia delle scene.