Ewa Juszkiewicz ha sviluppato un suo particolare stile pittorico. Ispirandosi ai ritratti del 18° e 19° secolo, realizza opere dove le modelle femminili hanno sempre il volto coperto. Il risultato, all’apparenza disturbante, cela un importante ragionamento estetico-morale.
C’è sempre un fascino misterioso nei ritratti del 18° e 19° secolo. Una bellezza lontana, affascinante, non sempre comprensibile. Per questo forse Ewa Juszkiewicz – pittrice polacca di stanza a Varsavia – li ha sempre osservati con una curiosità particolare, tutta tesa a penetrarne le fitte trame. A interessarle è soprattutto la tradizione ritrattistica europea, in particolare le opere di Jan van Eyck, Petrus Christus e Robert Campin. Il colore, la tecnica pittorica, il posizionamento calibrato dei soggetti e degli oggetti che li circondano. L’atmosfera è spesso pervasa di armonia, come in Portrait of a Young Girl di Petrus Christus.
Eppure, con il tempo, Ewa Juszkiewicz ha iniziato a notare che qualche aspetto non la convinceva appieno. Le donne, specialmente il loro volto, erano infatti spesso ritratte in modo convenzionale. Le pose, i gesti, le espressione: ogni elemento femminile sembra codificato in un rappresentazione cristallizzata. Questo all’artista proprio non andava giù. Così a instaurato uno speciali dialogo con la pratica del ritratto, rivisitando in chiave personale una tradizione che, seppure magnifica, evidenziava dei limiti ai suoi occhi. In questo, sostiene lei stessa, si è lasciata ispirare da Cindy Sherman e la sua serie History Portraits.
Così Ewa Juszkiewicz nel 2011 ha iniziato a realizzare dipinti che formalmente ricordano molto i ritratti del passato, ma con un’importante variazione: tutti i volti delle modelle sono coperti. Nascosti sotto un manto di vegetali (funghi, fiori, piante), intricate acconciature o stoffe accuratamente avvolte, l’intima essenza di queste donne viene negata all’osservatore. Ne risulta un’immagine surreale, disturbante, per qualche aspetto addirittura minacciosa.
Come mai questa svolta?
In questi dipinti, coprendo o modificando un ritratto, l’artista mira a sconvolgere i canoni consolidati e frantumare l’immagine uniformata e conservatrice della bellezza femminile. Attraverso la metamorfosi dei dipinti classici, il loro significato ultimo subisce un variazione. Associazioni alternative aprono a interpretazioni inedite. Nei suoi dipinti, giustapponendo elementi apparentemente incompatibili, Ewa Juszkiewicz crea immagini nuove, surreali, personaggi ibridi che evocano sensazione ambigue, spesso inquietanti o grottesche. Intrecciando gli elementi tipici della tradizione pittorica a quelli tratti dalla natura, l’artista riesce paradossalmente a liberare l’espressione, l’emozione e la vitalità delle donne ritratte. Tutto ciò che in un ritratto classico, per secoli, è stato celato.
Una mostra a lei dedicata è visibile da Gagosian (Park & 75, Upper East Side, New York) fino al 4 gennaio 2021. Il titolo dell’esposizione – In vain her feet in sparkling laces glow – è una citazione dalla poesia Dorinda at her Glass della poetessa inglese Mary Leapor. Nella sua poesia l’autrice tocca temi come le aspettative sociali riguardo all’aspetto femminile.