La Fondazione MAST di Bologna non si arrende. Nonostante la chiusura per l’emergenza sanitaria sono disponibili in versione digitale con la guida del curatore Urs Stahel entrambe le mostre esposte fino a riapertura al pubblico, MAST Photography Grant on Industry and Work 2020 e Inventions
A breve saranno disponibili online anche i video di presentazione dei cinque finalisti del Photography Grant e contenuti inediti dall’Archivio MAST, come il talk di Joan Fontcuberta sulla mistificazione del mondo artistico.
La Fondazione MAST, tra le realtà museali dall’ampio respiro contemporaneo e internazionale, è nota per ospitare esposizioni eclettiche e giovanili che abbracciano arte e tecnologia.
LE ESPOSIZIONI
MAST Photography Grant on Industry and Work 2020 è un concorso fotografico biennale alla sua sesta edizione (2018-2020) su industria e lavoro dedicato ai talenti emergenti. I progetti dei cinque finalisti esposti al MAST – a cura di Urs Stahel – affrontano temi di grande attualità: l’omologazione nell’industria globale della moda, i danni ambientali causati dall’agricoltura intensiva, l’identità femminile nell’industria cinematografica e nell’informatica, la tecnologia e il design industriale, l’Intelligenza Artificiale. Il loro sguardo innovativo ci costringe a rapportarci con incongruenze, fratture, fenomeni e abissi che cercavamo di non vedere o che avevamo trascurato.
Si parte da Pablo López Luz, che nella sua serie Baja Moda (Bassa Moda) ritrae strade e vetrine dell’America Latina con disarmante lucidità e le metamorfosi del settore del commercio che portano alla scomparsa dei negozi locali. Fotografando negozi di abbigliamento e mode tipici del posto come se fossero piccoli teatri di scena, riesce a far comprendere il problema di una cultura locale che svanisce, scomparendo gradualmente fino a svanire.
La vetrina del negozio si trasforma in una lotta tra passato e futuro, tra alta e bassa moda, tra brand internazionali e negozi locali, tra globalizzazione da centro commerciale e cura delle tradizioni popolari. In questo suo ultimo lavoro López Luz torna a mettere a fuoco ciò che rimane immutabile. Il mondo globalizzato dell’industria della moda viene esaminato attraverso le vetrine di negozi che sembrerebbero scenografie in disuso se non fosse per la cura del dettaglio con cui sono state allestite: è in questo gesto che troviamo un’idea di resistenza.
Alinka Echeverría, vincitrice della sesta edizione del Photography Grant, porta invece tre installazioni – Grace, Hélène e Ada – dal titolo Apparent Femininity (Femminilità Apparente).
Partendo dal superato detto dal sapore vittoriano “Gentleman do not work with their hands” (I gentiluomini non svolgono lavori manuali), in una eterna lotta tra Episteme e Techne – Conoscenza vs Perizia – la Echeverría sfata ironicamente e con delicatezza il mito che solo le donne siano nate esclusivamente per il lavoro manuale.
Nel burrascoso rapporto tra donne, lavoro e industria si delinea la domanda su cosa sia la femminilità e quali caratteristiche possano essere sfruttate nell’economia domestica e nel sistema industriale, tralasciando gli aspetti relativi alla programmazione informatica e alla prima fase del cinema hollywoodiano, che ha visto le donne come protagoniste attive. Apparent Femininity nasce dalla necessità di guardare a queste storie: ognuna delle tre installazioni esposte si concentra su un momento specifico della presenza femminile nel cinema e nell’informatica.
Hélène è un’installazione di lastre di vetro su cui sono stampate fotografie d’archivio risalenti agli esordi del cinema hollywoodiano: le immagini raffigurano le montatrici di pellicole nell’atto di svolgere il loro lavoro. Il titolo fa riferimento alla mitologia greca, inoltre è uno dei nomi più diffusi in Europa, per rendere l’opera più universale: le cutters erano giovani impiegate nell’industria cinematografica e il loro lavoro consisteva nel montare la pellicola, tagliando e congiungendo le varie parti.
La seconda installazione si intitola Grace, in onore di Grace Hopper, informatica e programmatrice del computer Harvard Mark I: consiste in una tenda a LED su cui compare un’animazione ispirata a una fotografia di Berenice Abbott ed è accompagnata da una colonna sonora composta da Daphne Oram, pioniera del Graphical Sound. L’immagine viene attivata dall’animazione dei filamenti luminosi – chiaro rimando alla Medusa della mitologia greca – e agisce in sinergia con la superficie: un esempio della fluidità con cui la tecnologia è entrata nella nostra vita quotidiana, accentrandola totalmente.
La terza installazione è un mosaico murale che si presenta come una raccolta di scene legate all’origine del GPS e della navigazione satellitare e alla produzione del vetro speciale per gli obiettivi delle fotocamere. Le foto d’archivio sono stampate con procedimenti diversi e l’opera – dal titolo Ada – è in onore di Augusta Ada King, contessa di Lovelace: un omaggio visivo alle donne che hanno ottenuto grandi risultati come inventrici e matematiche. Anche qui il riferimento all’archetipo di Medusa non è casuale: il mito della donna punita da Atena per aver subito uno stupro costituisce una delle incarnazioni più eloquenti della subalternità femminile. Le donne per anni sono state private della funzione di inventare, creare e sviluppare sia la Techne che la Episteme e quest’opera ne è una chiara denuncia. L’unicum creato dalle tre installazioni che compongono Apparent Femininity assume la forma di un tempio celebrativo del femminino.
Nel progetto For a Few Euros More (Per qualche euro in più), Chloe Dewe Mathews indaga invece le dinamiche dell’agricoltura moderna, mettendo in luce questioni relative alla produzione e al consumo di cibo, allo sfruttamento delle persone e alla crisi ambientale in corso.
Il progetto è situato nel gigantesco Mar de Plástico, che si estende a sudovest di Almería, nella Spagna meridionale: una distesa enorme agro-industriale di polytunnel agricoli, in cui si produce la metà della frutta e verdura che riempirà i supermercati di tutta Europa. Partendo da questi luoghi mette in evidenza tre realtà contigue, ma molto diverse, che caratterizzano la zona: il più vasto “orto” del mondo coperto da teloni di plastica, una miniera in disuso e i set abbandonati dei film Spaghetti Western (come il conosciuto C’era una volta il West) usati come location da Sergio Leone. Oggi il vecchio set cinematografico è una meta ambita per molti turisti.
Maruf, il lavoratore migrante africano protagonista del video di Dewe Mathews, penetra con la sua bici come una sonda, sorvola quattro universi industriali – agricoltura, miniera, cinema e turismo -con il sottofondo di un ambient sound di grande effetto. Maruf, fungendo da elemento umano di collegamento tra i tre paesaggi, ha la capacità di muoversi tra passato e presente: mettendo a fuoco il costo umano della manodopera africana pagata al di sotto del salario minimo, il video di Dewe Mathews è una denuncia pregna di sottili simbologie e sfumature. Ad esempio, Maruf guida una bici, il mezzo di trasporto più comune per i lavoratori migranti, in contrapposizione ai cavalli dei film di Leone o delle automobili guidate dalla popolazione locale. L’artista getta dunque il velo sui costi ambientali e umani di queste imprese, mettendoci di fronte a una domanda: quale prezzo ambientale e umano siamo disposti a spendere?
Il quarto finalista del concorso è Maxime Guyon, che con il suo progetto Aircraft crea fotografie digitali di forme aereodinamiche, turboreattori, pistoni idraulici, connessioni elettriche degli aerei che si susseguono, si rispondono, si combinano. Poi sigle e codici che identificano l’anatomia complessa di un velivolo. Non c’è spazio per alcun tipo di sentimentalismo qui: solo pura e tecnica qualità fotografica per meglio rappresentare la qualità tecnologica delle grosse masse metalliche esposte. Le carrozzerie con toni neutri, a eccezione di alcuni dettagli super colorati, regalano una sensazione di controllo, di visione frammentata ma totale e artificiale.
Le sagome restano sospese in uno spazio senza tempo e senza cielo – concrete, ma irreali – circondate da luci artificiali: Aircraft è una riflessione profonda dell’artista sulla estetica contemporanea delle apparecchiature che ci circondano. Fotografo pubblicitario al servizio dell’industria o artista: non c’è una frontiera netta nei lavori su commissione e personali di Guyon. Come sosteneva all’inizio del XX secolo il Manifesto del Futurismo:
Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli! Perchè dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri, noi viviamo già nell’assoluto […]”
L’ultimo finalista del Photography Grant è Aapo Huhta con la sua serie di opere dal titolo sottilmente ironico Sorrow? Very Unlikely (Tristezza?Molto improbabile) e un progetto ambizioso: comprendere quanto l’Intelligenza Artificiale riesca a cogliere le emozioni delle persone dalle fotografie, esplorando temi legati all’alfabetizzazione visiva.
Dopo aver scattato le foto, le ho sottoposte a due software di riconoscimento delle immagini, Google Vision API e Microsoft Seeing AI. La mia attività fotografica è segnata dalle mie inclinazioni naturali, dai miei istinti e dalle mie intuizioni – in altre parole, da ciò che definisco il mio algoritmo genetico personale. Allo stesso modo, ciò che registro è influenzato dalle mie esperienze ed emozioni, improntate sulla mia identità. Al contrario, un algoritmo di IA non ha un vero e proprio vissuto. Non ha identità. Nel suo approccio infantile, si limita a dare voce a ciò che coglie dai contenuti di una fotografia. E ‘ scioccante rendermi conto di quanti dettagli mi sfuggano, ma soprattutto di quanti ne sfuggano alla macchina.” (Aapo Huhta)
Sorrow? Very Unlikely è repository-based, ovvero creato a partire da un repertorio fotografico preesistente che non spiccasse per qualità, ma che riflettesse il modo in cui si percepisce il mondo, con immagini influenzate da fattori come il retaggio culturale, la storia personale e il contesto: un sorta di “algoritmo genetico”.
Le deduzioni in tempo reale eseguite dalle rispettive IA dei programmi di riconoscimento delle immagini sono state poi trasformate in tracce audio. La macchina indovina e suggerisce, secondo biforcazioni prestabilite: le decisioni della voce automatizzata dell’IA, quando vengono riprodotte in audio, risultano errate, sgraziate e formulate in modo goffo. Il risultato è un attrito tra immagine e parola, tra mezzo fotografico e nuove tecnologie che solleva quesiti inquietanti sul ruolo dell’uomo e sul suo futuro, sfruttando nuovi settori che – se non ben collaudati – possono portare a effetti a lungo termine dannosi per la società.
L’altra esposizione presente alla Fondazione MAST è Inventions, a cura di Luce Lebart. La mostra presenta fotografie delle invenzioni più brillanti e geniali provenienti dalle collezioni dell’Archive of Modern Conflict di Londra e dagli Archives Nationales francesi. Queste numerose invenzioni vennero realizzate e fotografate in Francia tra le due Guerre mondiali presso l’Office des Inventions su iniziativa di Jules-Louis Breton. Inventions riflette la molteplicità delle invenzioni presenti nell’archivio di Breton, che vanno dagli oggetti usati per sopravvivere in tempi di crisi ai dispositivi per godere di una migliore qualità della vita in periodi di pace.
“E’ nato prima l’uovo o la gallina?”, sembra domandarsi il soggetto fotografato. In realtà l’uomo sta esaminando un miroeuf – ovvero un portauovo – invenzione esposta da Victor Mendel alla Fiera degli apparecchi domestici del 1923 e 1924, evento annuale ideato da Breton.
L’archivio delle invenzioni ha il pregio di unire, attraverso le immagini a volte grottesche, gli oggetti più disparati: una scopa di gomma, una maschera antigas, una lavatrice. Il fascino dei diversi pezzi accostati è accentuato dalla loro obsolescenza: molti hanno perso lo scopo per il quale sono stati creati, o magari non ne hanno mai avuto uno. Qui un elenco delle invenzioni, alcune decisamente surreali e buffe.
Fotografata in tutte le angolazioni e in tutte le situazioni possibili, la lavastoviglie ideata nel 1923 da Breton annuncia la possibilità di una rivoluzione nella vita quotidiana di tutte le donne: “Semplice, Sterile, Comoda, Automatica, Economica” il suo motto.
La scopa meccanica evoca l’idea di pace e ricostruzione: il terreno post guerra deve essere sgomberato per prepararsi all’avvento del nuovo. Passato il primo conflitto mondiale, il forte interesse verso scope, spazzole e spazzoloni acquista ulteriore significato alla luce degli accordi conclusi con l’industria francese specializzata in questi articoli, per il reinserimento lavorativo degli invalidi di guerra e dei non vedenti.
La maschera antigas per cavalli, proposta da un membro dello staff della Direction des Inventions, offre un buon esempio di risultato deludente. Dalla primavera del 1915 i cavalli che trainavano veicoli o attrezzature dovevano affrontare gli effetti degli attacchi con il gas, ma ovviamente l’invenzione si rivelò inefficace perchè troppo pesante e non sufficientemente ermetica.
Lo humour emerge in particolare quando vengono messe a confronto figure umane con oggetti, allo scopo di spiegarne la modalità di utilizzo. E’ il caso di una fotografia di un dispositivo di monitoraggio acustico, denominato Dispositivo di ascolto per la sorveglianza a terra. Si tratta di uno strumento simile a uno stetoscopio gigante, i cui auricolari sono connessi a un rilevatore posizionato a terra. Il personaggio è ripreso nell’atto di ascoltare il suolo, come fa un dottore auscultando i battiti del cuore di un paziente. La situazione appare chiaramente assurda.
Non è da meno il Cingolato del signor Caufer, in cui l’insolito si mescola con il tragico. Questa attrezzatura si propone come ausilio funzionale per avanzare agevolmente strisciando a terra. La bizzarra messa in scena evidenzia il grottesco dell’invenzione e contrasta con la triste realtà di questa sorta di cingolato, progettato per aiutare le persone mutilate a muoversi sul suolo.
Ideata nel 1930, questa invenzione aveva una duplice utilità: permettere all’ornitologo di studiare gli uccelli, ma anche di facilitare l’avvistamento degli aerei sia in tempo di guerra che di pace. In grado di ruotare in tutte le direzioni, la struttura era dotata di un sedile girevole e poteva essere montata su un veicolo a sua volta mobile: nulla sarebbe sfuggito all’osservatore grazie a questo moderno strumento telescopico.
Insomma, una mostra miniera inesauribile di storie, alcune reali e altre assurde, ma vestigia visive di un tempo passato che ci invita a esplorare l’archeologia della società dei costumi e della ricerca scientifica.
Informazioni utili
La Fondazione MAST informa che, in ottemperanza a quanto contenuto nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 novembre 2020, gli spazi espositivi del MAST sono chiusi fino al 3 dicembre 2020. Sono sospese le visite guidate e sono annullati tutti gli eventi previsti fino al 3 dicembre 2020.
Contenuti online disponibili sul sito Internet e possibilità di prenotazione per visitare le mostre dal 4 dicembre 2020.