La mostra curata da Cristiano Raimondi al Nouveau Musée National de Monaco avvia l’approfondimento critico sistematico del frammentato universo della ceramica
“L’unicità della ceramica? Sta nel riuscire a combinare sensazioni forti come quelle della fragilità e del pericolo, con la grande bellezza che riesce ad esprimere”. Così l’artista belga Johan Creten introduceva con alcuni giornalisti le sue pregnanti creazioni, presentate quasi a compendiare i significati della bella mostra Artifices Instables: Histoires de Céramiques, allestita nella sede di Villa Sauber del Nouveau Musée National de Monaco.
La scelta di Creten pare quanto mai centrata, per un’esposizione che si propone come “un percorso di invenzioni e sperimentazioni che esplora la diversità delle forme e delle decorazioni della ceramica”. Formatosi come pittore, negli anni lui ha infatti scoperto la ceramica facendone il proprio mezzo primario, distinguendosi per l’uso innovativo della materia. Raggiungendo esiti che trovano proprio nell’enigmaticità e nell’inclassificabilità la loro unicità.
In questo, Creten si fa probabilmente fedele interprete della straordinaria operazione messa in piedi dal curatore Cristiano Raimondi. Un’impresa a suo modo coraggiosa: come avviare – sostenuto dal prestigio e dai mezzi di un grande museo – l’approfondimento sistematico di un universo nebuloso e frammentato come quello che ruota attorno alla ceramica, mai del tutto affrancata, nell’immaginario collettivo, dal ruolo di “arte minore”, destinata alla collateralità, quasi uno sfogo, un passatempo per gli artisti in cerca di uno “stacco” dalle loro sublimi creazioni scultoree o pittoriche.
Ma da tempo, questo universo, reclama una sua dignità esclusiva: con motivazioni forti, che nella mostra monegasca emergono, anche se ancora inevitabilmente con un taglio critico sperimentale. Su un piano storico: visto che oggi proprio la ceramica, nelle sue diverse declinazioni, si propone come il terreno più fertile sul quale riproporre quella (chimerica?) “unione delle arti” predicata fin dal Barocco, e fra Ottocento e Novecento praticata da movimenti come Arts and Crafts, Wiener Werkstätte o Bauhaus. Nei piccoli preziosi lavori dell’americano Ron Neagle – per esemplificare con opere presenti a Villa Sauber – quanto è scultura, quanto è pittura, quanto è design? E sono installazioni, le pulsanti strutture fortemente organiche proposte dall’americano Brian Rochefort?
C’è poi un livello più spirituale, quasi “filosofico”, sul quale riconsiderare la ceramica. L’attuale panorama creativo globale pare farsi dominare da pensieri deboli, che lasciano ampissimi spazi a istanze sociologiche che meriterebbero altri diversi scenari. Dalle questioni razziali al #metoo, al revisionismo storico-monumentale. La ceramica riconduce il “fare arte” a temperie avulse da tutto questo, portando in sé componenti creative primigenie di grande forza intrinseca. E convocando nella sua nascita tutti i quattro Elementi: la terra che ne è la base, l’acqua con la quale questa si impasta. E poi il fuoco con cui si cuoce, l’aria alla quale si raffredda (con diversa modulazione nell’ossidazione degli smalti, o nel cracklè delle superfici).
C’è poi un ulteriore elemento, la patente fisicità, spesso la “sofferenza” associata alla lavorazione della terra. Che emerge in altre opere visibili in Artifices Instables: come non percepirla nelle instabili costruzioni del giovanissimo inglese Aaron Angell, decadenti accrochages paradigmatici della fragilità e del pericolo evocati da Creten?
Il progetto apparecchiato da Raimondi è ampio, molto al di là delle comunque simboliche realtà citate. Aprendosi – non poteva essere altrimenti – con Pablo Picasso, l’unico, quantomeno il maggiore, grande artista contemporaneo ad aver riservato grande considerazione alla ceramica, specie nel periodo di Vallauris. Con operazioni culturalmente preziose come la rivalutazione di personaggi troppo in ombra come l’americano George Ohr, o la venezuelana Magdalena Suarez Frimkess. Non mancando – lui, che nel 2011 aveva portato il grande Mark Dion a lavorare con le collezioni del Musée océanographique di Monaco – di dialogare con l’ambiente che lo ha accolto. Con un necessario omaggio al “genius loci” del principato Albert Diato, ed un focus sulla celeberrima “Poterie de Monaco”.
“La ceramica non è semplicemente un termine generico per gli oggetti in argilla”, scrive il curatore nel catalogo della mostra, visibile fino al 21 febbraio 2021, con ingresso gratuito fino al 3 gennaio. “Evocare la ceramica apre un mondo di molteplici, quasi infiniti campi di possibilità. Risorsa inesauribile generata dalle innumerevoli trasformazioni della terra, l’argilla segue la storia umana sin dall’inizio…”.