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Il capitalo-cene e l’antropocentrismo predatorio di Nicolas Bourriaud. Ovvero occidentali’s karma

Edward Burtynsky Phosphor Tailings Pond #4, Near Lakeland, Florida, USA 2012 photo © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto © Edward Burtynsky
Nicolas Bourriaud

Ci risiamo, la lagna del pensiero unico che gli “intellò” del cool system propagano a piene mani, anzi, a piene pagine, aggiunge un nuovo capitolo alla stramaledetta narrazione che vede l’uomo bianco sul banco degli imputati, accusato di ogni nefandezza da un tribunale post, vetero, neo marxista in salsa catastrofico ecologista. La lezione questa volta ci viene impartita da Nicolas Bourriaud già direttore di Palais de Tokyo di Parigi, fondatore e direttore della rivista Documents sur l’art e autore di vari libri. La sua ultima fatica, “Inclusioni, Estetica del capitalocene – orrendo neologismo – è ampiamente recensita da Vincenzo Trione con una sussiegosa intervista all’autore per “La Lettura” del 29 novembre.

Non è certo la prima volta che i cugini d’oltralpe ci rifilano delle “sole” ideologiche, dalle sbornie per il Libretto Rosso all’ infatuazione per l’ayatollah Khomeini, al più recente innamoramento per il marxismo alla Piketty, per citarne solo alcune, che tanto successo hanno avuto e hanno presso l’intellighenzia nostrana. Certo, il nostro Nicolas non è solo nel disgraziato impegno di ridisegnare i confini dell’umano. Una lunga schiera di archistar, filosofi, artisti, fashion designer e pensatori vari ed avariati concorre, con l’ausilio dei corifei della stampa, a propalare il verbo.

Ma tornando a bomba, vale a dire all’intervista in questione, i temi trattati non si discostano troppo dal mainstream sopra detto, declinati in “filosofese” tipo: “uno dei compiti politici più importante per l’arte è lo sforzo di estendere il regno dell’individualità (…) ricollegandosi alle società precapitalisiche e primitive, gli artisti del XXI secolo dovrebbero diventare gli interpreti più attenti di quel processo di estinzione della soggettività e di anti-reificazione che è in atto” … o ancora il nuovo concetto di “capitalocene”, termine coniato da Andreas Malm, professore associato di human ecology all’università di Lund, Svezia, utilizzato come sinonimo di antropocecene, a sostegno del fatto che la più grave minaccia derivi dalle attività umane tese allo sfruttamento intensivo delle risorse naturali.

Andreas Malm

“Se vivessimo come le amazzoni, non ci sarebbe capitalocene.” Giusto!!! Ad onor del vero una variante c’è nell’articolato pensiero del teorico, e consiste nel riproporre l’antico vizio dello spirito sinistro, vale a dire impossessarsi del pensiero e dell’opera di autori che nulla hanno a che spartire con le balzane elucubrazioni politicamente declinate in sinistrese, nella fattispecie Claude Lévi Strauss, per poi piegarle alla propria bisogna, confidando nella dabbenaggine dell’ignaro lettore.

In buona sostanza la tesi di Nicolas Bourriaud si allinea a quella corrente di pensiero che auspica uno slittamento esistenziale di percezione e partecipazione dell’homo occidentalis all’environment che prelude una diversa relazione con il mondo sia animale che vegetale e financo minerale, abdicando al pensiero dualistico natura- cultura, civilizzato- selvaggio su cui si è fondato il pensiero predatore occidentale. (Tutti temi di cui vi ho ampiamente relazionato in altri pezzi: On air, Tomàs Saraceno a Parigi / Hollywood o Mailandwood? / Il climate change e l’antropo-apericena). Dunque l’Arte deve farsi interprete di questo nuovo sguardo sul mondo e non lasciarsi irregimentare dal sistema capitalistico e produttivista.

Edward Burtynsky
Phosphor Tailings Pond #4, Near Lakeland, Florida, USA 2012
photo © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto

Che dire? Bene Bravo! Last but not least, ripercorrendo il lungo cammino della storia umana mai e poi mai, anche durante i rivolgimenti più profondi e sconvolgenti, mai, ribadisco, si è visto un rifiuto così radicato e radicale per la propria storia. Una vibrazione sismica che scuote il palazzo e pervade le infinite rivendicative minoranze organizzate in tribù che, come cetacei impazziti, anelano ad un suicidio di specie sulla spiaggia di qualche atollo incontaminato. Forse per spiegare questo sentimento autodistruttivo si potrebbe ricorrere a René Girard e al suo saggio “La violenza e il sacro” e al fondamento anti-sacrificale del cristianesimo che ha prodotto la modernità e liberato la violenza dell’uomo.

Oppure, più semplicemente all’ottimo Francesco Gabbani: “…Lezioni di Nirvana, c’è il Buddha in fila indiana (…) la folla grida un mantra, l’evoluzione inciampa, la scimmia nuda balla, occidentali’s karma…”

Apocalittici saluti
L.d.R.

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