Da Conte nemmeno una parola sulla sostanziale morte decretata per musei, teatri, mostre, cinema, spettacoli e concerti. Ma il mondo della cultura tace
Dal 21 dicembre al 6 gennaio saranno vietati tutti gli spostamenti tra regioni. Nei giorni di Natale e Capodanno gli spostamenti saranno vietati tra comuni. Resterà il coprifuoco, allungato fino alle 7 di mattina a Capodanno. Negozi aperti fino alle 21, per le scuole medie e superiori se ne riparla il 7 gennaio. Tanti saluti agli impianti sciistici. Questo, mediamente, il tenore dei resoconti circa le misure anti-covid esposte ieri sera dal premier Conte.
Misure che oggi infiammano – immancabilmente – il dibattito, a 360 gradi. Su tutto, giustamente, domina l’impossibilità di festeggiare il Natale con parenti che risiedano in altri comuni. Indistintamente, anche se stanno solo a pochi chilometri. Altro punto assai commentato è quello degli impianti sciistici, che di fatto azzererà un comparto economicamente molto importante. Provvedimenti forti, anche coraggiosi per qualcuno: ma che almeno sollevano una dialettica, spesso anche infuocata.
Sul fronte culturale lo scenario è desolante. Non soltanto perché Conte, come era ampiamente prevedibile, non ha riservato una che sia una parola alla sostanziale morte decretata per musei, teatri, mostre, cinema, spettacoli e concerti. Dando per inteso che varrà quanto previsto dalle carte, ovvero che le chiusure sono prorogate almeno fino al 15 gennaio. Ma soprattutto dando per inteso che di questo non interessa nulla a nessuno, tanto che la cosa non ha meritato nemmeno pochi secondi della sua conferenza.
Ma quello che è ancor più sconcertante è constatare oggi che Conte ha ragione. In un paese come l’Italia, per secoli culla delle arti in ogni settore, dal Rinascimento al Melodramma, l’indiscutibilmente irragionevole congelamento di ogni attività culturale passa del tutto in secondo piano. E le rassegne stampa stanno a testimoniarlo: non esiste un solo giornale che abbia sottolineato la cosa, figurarsi i Tg o i contenitori televisivi. Un assordante silenzio, che non fa che confermare il governo nelle sue opzioni.
Fanno eccezione, ma è un terreno di grande visibilità ma di pochissimo impatto, i soliti social network, dove qualche voce in merito si è sollevata, specco in chiave sarcastica. Come nel caso della critica Martina Cavallarin, che sul suo profilo Facebook scrive: “Musei e luoghi di cultura non pervenuti. Proviamo con Chi l’ha visto. Poi in caso resta l’Area 51”. Più austera la constatazione di Andrea Bruciati, direttore di Villa d’Este e Villa Adriana a Tivoli: “Il silenzio sui musei, e qualsiasi attività culturale, è assordante”.
In realtà della chiusura dei musei qualche giornale – pochi, un paio – parla, ma soltanto per informare che la prima sezione del Tar del Lazio ieri ha respinto l’istanza cautelare con cui Vittorio Sgarbi chiedeva la sospensione del Dpcm del 3 novembre relativamente alla chiusura dei musei. Per i giudici amministrativi “va considerata prevalente l’esigenza sottostante all’adozione delle misure impugnate di tutelare il diritto alla salute, a seguito della recrudescenza del contagio epidemiologico, attraverso una significativa riduzione delle attività da svolgersi in presenza”. I centri commerciali, notoriamente deserti, possono aprire e fino alle 21. I musei, da sempre luoghi di altissimo assembramento, restino chiusi. E tutti zitti.