Divine e Avanguardie: le donne nell’arte russa dal 28 ottobre al 5 aprile 2021 è in esposizione a Palazzo Reale, Milano. La mostra esplora a tutto tondo l’immagine e l’immaginario sulla figura femminile lungo il corso della storia russa.
Il ruolo della donna nel mondo dell’arte è un argomento che negli ultimi anni ha catalizzato l’attenzione di esperti, critici e istituzioni dell’arte. Il Comune di Milano all’inizio del 2020 ha scelto come fil rouge della propria proposta culturale i Talenti delle donne, un tema declinato in un programma ricco di incontri, dibattiti e mostre, che la pandemia di Covid-19 ha fortunatamente intaccato solo parzialmente.
Di questa rassegna fa parte a pieno titolo la mostra Divine e Avanguardie: le donne nell’arte russa, che dal 28 ottobre al 5 aprile 2021 occuperà gli spazi espositivi di Palazzo Reale a Milano. Curata da Evgenia Petrova e Josef Kiblitskij, la mostra esplora a tutto tondo l’immagine e l’immaginario sulla figura femminile lungo il corso della storia russa. Dalle icone della Madre di Dio fino alle audaci conquiste delle Avanguardie, il percorso espositivo abbraccia secoli di ruoli, stravolgimenti e conquiste dell’universo femminile nel Paese più esteso del mondo. Il nucleo principale della mostra (oltre 90 opere) proviene dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, che apre in questa occasione un anno di collaborazione tra i musei russi e quelli italiani.
Le due macroaree che compongono la mostra identificano la donna prima come soggetto dell’opera d’arte e successivamente come protagonista dall’altra parte del cavalletto, mostrando al pubblico italiano opere di artiste di immenso valore come Olga Rozanova, elemento di spicco del Suprematismo russo, o come Natal’ja Gončarova, eccellente interprete del Futurismo.
Sotto i suoi occhi, il visitatore della mostra vede susseguirsi gli stilemi raffigurativi della donna lungo il corso della storia: si comincia con le icone ortodosse, dove la Vergine e le sante appaiono come idealizzati oggetti di devozione dallo sguardo bonario e rassicurante, stagliati sul fondo oro delle tavole. Seguono le zarine, le donne più potenti del millenario impero russo. Pomposi ritratti ufficiali che lasciano però trasparire i moti dell’anima delle donne ritratte; come l’infelicità e la preoccupazione della giovane Aleksandra, ultima regina di Russia, ritratta da Jakov Veber nel 1914, quando i venti della Rivoluzione cominciavano a spirare su San Pietroburgo.
La regalità lascia spazio al ceto più basso della società russa: la servitù della gleba. I ritratti delle contadine, avvolte in pesanti abiti di lana con il caratteristico fazzoletto legato sotto il mento, spaziano dal racconto idilliaco della campagna fino al realismo delle schiene spezzate dalla fatica ritratte da Aleksei Pakhomov nella sua eloquente Mietitrice. Non può non colpire la visione del contado espressa dal Kazimir Malevič, padre del Suprematismo. Le contadine sono espresse come manichini: rigide, senza volto e senza identità, offerte frontalmente allo sguardo dell’osservatore, che ne riconosce il ruolo sociale grazie all’abito caratteristico, simbolo che relega la donna contadina a elemento indistinto della massa.
Gli artisti russi a cavallo tra XIX e XX secolo avevano trovato nella borghesia cittadina una nuova forma di committenza, diversa da quella aristocratica. La sezione della mostra dedicata alla donna di città e alla maternità propone al visitatore uno spaccato sul fragile equilibrio della moglie e della madre borghese, adornata di gioielli e abiti preziosi. Il frivolo pavoneggiarsi (La moglie del mercante con lo specchio di Boris Kustodiev, 1920, Museo Russo di Stato, San Pietroburgo) lascia il posto alla triste consapevolezza della donna intellettuale (Ritratto di Anna Achmatova di Kuz’ma Petrov-Vodkin, 1922, Museo Russo di Stato, San Pietroburgo), volta all’imminente cancellazione della borghesia da parte della neonata Rivoluzione.
L’avvento dell’Unione Sovietica contribuirà a spazzare via anche i moti delle Avanguardie, giunti fino in Russia dall’Europa e declinati secondo la lente culturale del Paese. Le artiste russe dell’inizio del Novecento conquistarono un ruolo unico nella storia dell’arte fino ad allora: erano considerate alla pari degli uomini, e come loro esponevano all’interno delle gallerie e partecipavano con successo ai manifesti artistici, compreso il Futurismo, tra le correnti più misogine del secolo delle Avanguardie. Natal’ja Gončarova, Ljubov’ Popova e Aleksandra Ekster dimostrarono un’abilità e una sensibilità alle tematiche futuriste superiori a quelle di molti uomini, arrivando anche a esporre nei Salon parigini.
L’avvento del Suprematismo russo, teorizzato da Kazimir Malevič nel manifesto del 1915, ebbe come principale esponente Olga Rozanova, la cui abilità coloristica era stimata dallo stesso fondatore del movimento, che la definì “l’unica vera suprematista”. Nelle composizioni della pittrice i colori erano luminescenti, quasi cangianti, o “trasfigurati”, come li indicava lei.
Il percorso espositivo si chiude con un excursus sull’arte di regime, adottata dall’Unione Sovietica a partire dagli anni Trenta. Cattura subito l’attenzione il modello in bronzo dell’opera L’operaio e la kolkotsiana, realizzato nel 1936 dalla scultrice Vera Muchina. Il bozzetto vinse il concorso per il padiglione sovietico dell’Esposizione internazionale di Parigi del 1937, completandosi in un gruppo scultoreo in acciaio di 24 metri d’altezza ora a Mosca, nell’Esposizione delle conquiste dell’economia nazionale. L’opera incanta ancora oggi per il suo potente dinamismo orizzontale e l’espressività delle due figure, nonostante il messaggio propagandistico.
Divine e Avanguardie: le donne nell’arte russa è una mostra senza retorica, curata con attenzione ai dettagli e alla coerenza della narrazione. La donna è protagonista e comprimaria, oggetto di devozione e schiava della società, artista e mero corpo nudo. Colpisce la semplicità semantica con cui un tema così complesso e ricco di ombre come la condizione della donna in Russia sia stato esplorato e presentato al pubblico di un paese con linguaggi e retaggi culturali differenti come l’Italia. Forse la riposta sta proprio nella figura femminile, che unisce nel bene e nel male significati e significanti uguali in ogni luogo della terra.