The Prom: tremate, tremate, i liberali son tornati. Il nuovo film di Ryan Murphy è un omaggio a tutto quello che il suo autore ha sempre amato. Ma anche un ritorno alle origini. Con Meryl Streep, Nicole Kidman e James Corden
In tempo per le festività natalizie, dall’11 dicembre 2020 su Netflix è disponibile The Prom, il nuovo film scritto e diretto da Ryan Murphy, tratto dall’omonimo spettacolo di Broadway (2016, candidato ai Tony Award) e interpretato da un cast che vent’anni fa il giovane Murphy non avrebbe osato nemmeno immaginare.
Dee Dee Allen (il premio Oscar® Meryl Streep) e Barry Glickman (James Corden, la mente dietro ai Carpool Karaoke e conduttore del Late Late Show) sono due star di Broadway alle prese con una situazione critica: il loro ultimo spettacolo, Eleanor!, è un appeso a un filo. La prima recensione lo ha definito il nuovo Hamilton (esatto, proprio quello uscito a luglio su Disney+, che ha segnato il debutto di una delle giovanissime star di The Prom, Ariana DeBose), ma è soltanto un’illusione. Durante i festeggiamenti da Sardi’s arrivano le altre recensioni: un disastro. A quanto dicono i giornalisti, tanto valeva, con gli stessi soldi, “comprare una corda per impiccarsi”.
In un mondo in cui la celebrità si coltiva su Twitter, c’è un solo modo per riscattarsi (e vincere un altro Tony®): diventare attivisti. Ed è proprio Twitter a giungere in loro soccorso, quando sul feed di Angie (Nicole Kidman, mai stata così irrilevante) appare una notizia: nel liceo di una piccola città dell’Indiana, il capo dall’associazione genitori-insegnanti (Kerry Washington, che dopo Little Fires Everywhere continua la sua ricerca di ruoli controcorrente) ha vietato alla studentessa Emma (l’esordiente Jo Ellen Pellman) di partecipare al ballo di fine anno con la sua ragazza, Alyssa (Ariana DeBose, quella di Hamilton). Nonostante il sostegno del preside (Keegan-Michael Key, nel caso le star non fossero abbastanza), il ballo rischia di essere annullato.
In quattro e quattr’otto, Dee Dee e Barry si mettono in viaggio con Angie e Trent (Andrew Rannells, di recente in The Boys in the Band), altri due attori in cerca di una svolta (la prima è da vent’anni nel cast di Chicago e non le hanno mai dato il ruolo di Roxie Hart, il secondo è la star di una vecchia sitcom che non vuole fare la fine di James Van Der Beek). “Siamo i liberali di Broadway!”, gridano i quattro cavalieri delle belle arti non appena giunti a Edgewater, Indiana. L’obiettivo è riabilitare la propria immagine pubblica, cambiare il mondo “una lesbica alla volta” e portare un po’ di tolleranza nell’immensa vastità della periferia americana.
A quattro anni dal suo debutto, The Prom (il musical) era a sua volta ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto: quello di Constance McMillan, una giovane studentessa di Fulton, Mississipi, a cui nel 2010 fu vietato di partecipare al ballo scolastico con la sua ragazza. L’episodio generò abbastanza scandalo da guadagnarsi una pagina su Wikipedia. Non solo: diverse celebrità dimostrarono il loro supporto, tanto che Ellen DeGeneres invitò la McMillan nella sua trasmissione per darle una borsa di studio del valore di 30.000 dollari.
La premessa non potrebbe essere più “Murphyana”, tanto che viene da pensare che The Prom non sia altro che una versione più matura (e con un cast più stellare) di Glee, la serie-musical che nel 2009 consacrò Ryan Murphy come Re Mida della tv (oggi famosa per le tragedie che hanno colpito molti dei suoi protagonisti). Senza contare che, lungo tutto il film, voci di un’ombra a est ricordano al pubblico che la vita adulta non è tanto diversa dal liceo: nonostante il cast “agé”, infatti, The Prom ha le radici di un teen-drama, un genere caro a Murphy fin dai tempi di Popular, la sua prima serie (a dirla tutta, nell’organizzazione di un ballo alternativo c’è un evidentissimo retaggio di Kevin Williamson, di Dawson’s Creek e del suo “Anti-Prom”, stagione 3, episodio 22).
Che il nuovo film di Ryan Murphy non sia altro che una vecchia serie di Ryan Murphy? Omofobia e bifolchi di paese, cheerleader cattive che poi in realtà sono buone, coming out e coming of age, nonché un discutibilissimo gusto nel vestire (sanguinano gli occhi ogni volta che James Corden si presenta con le sue pashmine e un’orrida busta a tracolla verde fluo, tra l’altro evidentemente vuota). Siamo pure in Indiana, che confina con l’Ohio di Glee.
Proprio come in qualsiasi altra creatura Murphyana, le performance degli attori sono tanto importanti quanto i movimenti di dolly – e a entrambi sono richiesti i salti mortali. D’altronde lo canta anche Emma, con una di quelle voci stridule che piacciono tanto al pubblico di Broadway (è facile immaginarsi Lea Michele mentre si mangia le mani, ricordando i suoi giorni da star): “One thing you’ve taught me / Is how much people enjoy a show”.
Inutile dire che è Meryl Streep a mangiarsi la scena. Gli altri la seguono con umiltà, a eccezione di James Corden: se non ci avesse già abituati ai suoi modi effeminati in anni di buona televisione, la sua interpretazione dell’attore gay sopra le righe sarebbe a dir poco offensiva.
Niente di nuovo nemmeno sul fronte musicale. Difficile trattenersi alle prime note di It’s Not About Me, che sembrano quelle di Alejandro di Lady Gaga. Il climax del film, The Night Belongs to You, sembra una versione adolescenziale di Defying Gravity di Wicked, così come anche Dance With You fa il verso a For Good. L’altra grande ispirazione è Chicago, il musical di Rob Marshall con Catherine Zeta Jones, Renée Zellweger e Richard Gere (vincitore di 6 Premi Oscar®, forse l’ultimo musical nel senso tradizionale del termine): al di là di Zazz, un omaggio dichiarato, in Love Thy Neighbor sembra di riconoscere il ritmo di We Both Reached for the Gun. Ma tutto questo non è colpa di Murphy: le canzoni sono quelle del musical originale, salvo per due aggiunte – Wear Your Crown e Simply Love – di cui non si sentiva proprio il bisogno.
The Prom dà l’impressione di essere un esercizio di forma dove tutto è perfetto, da manuale. Tutto è tipico di Murphy: una giostra confusa, dove si parla troppo in fretta e si viene confusi dalle esplosioni di glitter e colori brillanti, abilmente declinati sulle tonalità Pantone del 2016 (quei Serenity e Rose Quartz che non passeranno mai di moda). Insomma, non si capisce niente. Non a caso la sua estetica è stata descritta come l’Espressionismo del mondo dello spettacolo: appariscente, esagerata, a volte anche un po’ volgare, ma mai aggressiva o minacciosa. E sempre ricamata di buone, buonissime intenzioni.
Tremate, bifolchi della periferia: la classe intellettuale ha preso la metropolitana e sta venendo a salvarvi dal provincialismo. In questo senso, come ha suggerito il The Guardian, The Prom potrebbe essere il primo film dell’era di Joe Biden, il carro dorato con cui i liberali arriveranno dalla grande città per portare l’inclusività nel mondo reale. Il messaggio di tolleranza è sincero e non manca di strappare un sorriso compiaciuto anche agli spettatori più “alti” (quelli che pensano di non avere bisogno di un’educazione alla civiltà). Alla fin fine, ha ragione la giovane Emma: a chi non piace uno spettacolo?