La misteriosa e affascinante figura di Lucrezia Borgia viene approfondita attraverso le sue 727 lettere, raccolte in un volume curato da Diane Ghirardo e ed edito da Tre lune Edizioni.
Si firmava «Lucretia Estense de Borgia» o «la duchessa di Ferrara» la bella Lucrezia Borgia (Subiaco 1480-Ferrara 1519), su cui se ne sono dette di tutte. Ma a leggere le sue 727 lettere, recentemente pubblicate a cura di Diane Ghirardo (Direzione Generali Archivi. Tre lune Edizioni 2020), viene fuori una figura straordinaria, forte, capace, retta, molto diversa dalla donna facile che molta letteratura ci ha tramandato. Figlia di un papa dissoluto, e senza scrupoli, Alessandro VI Borgia, che la strumentalizzava “vendendola” a vari mariti pur di acquistare potere ed estendere il suo stato, se ne distacca presto per sviluppare la sua personalità. Quella di una donna che, già adolescente, scrive a principi, e poco più che ventenne sa reggere un ducato nonostante numerose gravidanze, e tempi duri, spesso fiaccati da guerre e pestilenze (e viene in mente il nostro “coronavirus”), vende ricchezze e gioielli per salvare il ducato di Ferrara, sa essere attenta, tenera, generosa e solare.
Le circa 750 pagine del volume, frutto di un ventennio di ricerca negli archivi italiani ed esteri, si leggono velocemente attratti dalla scoperta di una Lucrezia nuova e autentica. Quando arriva a Ferrara come moglie del futuro duca Alfonso I all’inizio del febbraio 1502, Lucrezia ha già avuto due mariti, un paio di bambini, in matrimoni sfortunati voluti dal padre-padrone. Ma a Ferrara, di cui verrà duchessa qualche anno dopo, riprende in mano la propria vita con decisione. Moglie fedele di Alfonso I in un matrimonio solido e felice, collabora con il marito e regge lo stato in sua assenza. Bonifica terre e si circonda di artisti, scelti personalmente, per restaurare ed abbellire il Castello di Ferrara in cui vive, poi l’appartamento in Corte dove si trasferisce.
Circondata da letterati, poeti, scrittori che ne esaltano la grazia e la bellezza, ha diciotto gravidanze e nove bambini, alcuni dei quali morti in tenera età, come il piccolo Alessandro, nato nel 1505 e morto a un mese di vita. Lucrezia ne parla con dolore in una lettera al cognato Francesco II Gonzaga il 16 ottobre 1505 ricordando questo suo «charissimo figliolino» morto quella mattina. Un altro Alessandro le morirà a due anni nel 1516, «mio figliuolo ultimo de maschii», scrive l’11 luglio di quell’anno alla cognata Isabella d’Este, descrivendo con sofferenza e rassegnazione la misteriosa malattia del bambino. Lei stessa morirà di parto nel 1519 mettendo al mondo l’ultimo nato.
La prima lettera della raccolta è scritta da Roma il 12 marzo 1494, quando non ha ancora quattordici anni. È diretta a Francesco II Gonzaga, marchese di Mantova, inconsapevole, come lei, che otto anni dopo sarebbe diventato suo cognato, come marito di Isabella d’Este. Con garbo e disinvoltura Lucrezia risponde ad un favore richiestole, da ottenere presso il padre papa. Assicura che si impegnerà, ma senza poter garantire il buon esito. Da allora scriverà migliaia di lettere a parenti, ambasciatori, cittadini richiedenti suppliche, dignitari ecclesiastici. Tra i parenti, il padre papa, il marito, il suocero Ercole I, i cognati Ippolito, Ferrante, Giulio, Sigismondo, Isabella, fratelli di Alfonso e Francesco II Gonzaga.
Molte missive sono indirizzate a quest’ultimo, con cui si è supposta una relazione. Se un innamoramento ci fu, sembra sia stato da parte del cognato, perché Lucrezia, pur molto amica, appare reticente ad espressioni che si spingano al di là del dovuto, come gli scrive in una lettera dell’11 aprile 1511: «Ma de li troppo humani termini che usa nel scrivermi […] de quella mi doglio, non mi parendo conveniente a me» che vi considero un fratello.
Insomma, donna seria e morigerata!