Analizzare i processi dell’arte contemporanea è la materia di indagine di Roberto Fassone (Savigliano, 1986), artista con studi all’Università Iuav, che vive e lavora a Firenze.
Fassone mette in discussione i paradigmi artistici e sociali di cui il sistema si nutre, attraverso la performance. Opere reali e concettuali diventano uno spazio in cui coltivare, sfruttando pratiche come la dialettica e il gioco intrise di ironia e contraddizioni, un territorio ambiguo e sfuggente. La sua ultima mostra Vicino a Fano (2020), realizzata dall’artista presso lo SPAZIO SAN PAOLO INVEST di Treviglio, curata da Rossella Farinotti; l’ultimo premio l’Artists’ Film Italia Recovery Fund con Lo Schermo dell’arte, nella scorsa edizione. Ma “Se in un esercizio di sintesi forzata, dovessimo stabilire l’interesse ultimo dell’intera poetica di Roberto Fassone ci sarebbero pochi dubbi: raccontare storie” 1.
Cosa significa essere un artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Cosa significa essere un artista è una fotografia di Louise Bourgeois sessantenne, mentre cammina orgogliosa fuori da casa sua a New York, vestita con un’aliena massa bubulare marroncina. Fa ridere ed è serissima allo stesso tempo: come Andy Kaufman, ma un pochino meglio. A sette anni io e Ilaria giocavamo con i regoli. Costruivamo piste da sci per avatar di Tomba e Accola. Da precisare che giocavamo con la scatola in cui il regolo bianco (con cui facevamo la neve) vale uno, il regolo rosso (con cui facevamo le porte della pista) due, il regolo verde (con cui facevamo gli alberi) tre, il regolo giallo (con cui facevamo qualche sciatore) quattro, il regolo fucsia (con cui facevamo qualche altro sciatore) cinque, il regolo verdone (con cui facevamo alberi più alti) sei, il regolo nero (con cui costruivamo le baite) sette, il regolo marrone (con cui costruivamo il tetto delle baite) otto, il regolo blu (con cui facevamo la linea d’arrivo) nove, il regolo arancione (con cui non facevamo nulla) dieci. Al tempo ci contattò Andrea Bruciati per fare una mostra sullo sci ma decidemmo di rifiutare. Eravamo radicali, non accettavamo compromessi. La nostra arte non riguardava gli sci; la nostra arte riguardava l’immaginazione.
Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Vorrei che il mio lavoro fosse funk, psichedelico e frammentario. Vorrei che il mio lavoro fossero manierismi e poesie. Vorrei che il mio lavoro fosse come Zia Ombretta, così autentica che conosce i fantasmi. Vorrei che il mio lavoro fosse come Steve-O, stupido e appassionato. Vorrei che il mio lavoro non avesse il mio nome, ma quello di Rei Kawakubo. Vorrei che il mio lavoro non avesse senso, un vascello grande come l’Australia. Ho recentemente vinto l’Artists’ Film Italia Recovery Fund, premio promosso da Lo Schermo dell’arte. Con il premio realizzerò un video doppio canale, una coreografia di un viaggio surreale all’interno di un trip. Parallelamente sto scrivendo un libro, intitolato Una stanza piena di teiere.
Come ti rapporti con la città e il contesto culturale in cui vivi?
Nel 2019 sono diventato parte di Estuario, un collettivo e spazio di condivisione e dialogo, con sede a Prato. Abbiamo uno studio dove svolgiamo attività di didattica, curiamo mostre, ospitiamo talk e lavoriamo sul nostro lavoro. Siamo in otto, tra curatori, artisti e grafici: Dania Menafra, Serena Becagli, Marina Arienzale, Francesca Biagini, Virginia Zanetti, Enrico Vezzi, Matteo Innocenti ed io. Prato però non è dove vivo, ma vicino. A Firenze, il 21 marzo 2019 ho preso un caffè con Jacopo Jenna al bar davanti al Museo Marini: mi ha proposto di collaborare a un affascinante progetto sulla coreografia che si è concretizzato quest’estate. L’8 ottobre del 2015 invece, a qualche metro di distanza, all’interno del Museo Marino Marini, ho visto una delle performance più significative della mia vita. Con l’autrice della performance, Kasia Fudakowski, il 14 novembre 2019, abbiamo allestito, all’interno del cinema La Compagnia: Lo scherzo dell’arte, durante l’edizione di Lo schermo dell’arte, che si svolge sempre Firenze. Vestiti da tende mostravamo una playlist di video tra l’ironico e l’assurdo.
Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Penso che il sistema dell’arte contemporanea sia un concetto ampio e complesso; difficile da definire. Dentro c’è Federico Tosi, un articolo di Roberto Ago, una piastrella del pavimento dell’Hammer Museum, Obrist che si gratta la testa, l’application di Centrale Fies, una miriade di adattatori Mac per il proiettore che altrimenti non funziona, interviste fatte con le immagini, trialoghi tra Terrence McKenna, Edoardo Bonaspetti e Cesare Pietroiusti, una monografia su Gino de Dominicis (bella, ma con qualche piccolo refuso), attività collaterali di Marcel Duchamp, tutti i video di Ubuweb, mostre molto belle, mostre meno belle, moltissimi soldi, pochissimi soldi, gratis, una proposta interessante, cornici professionali, cornici dozzinali, la distanza tra e tra, metafore, analogie, l’impianto audio dello spazio, “Quanto costa un quadro di Hernan Bas? Ma dai…”, eroina iniettata in una lasagna, studio visit imbarazzanti, Fanta MLN, profili instagram con 313 follower, un buon consiglio di Guido Costa, poesie scritte con i commenti di Youtube, la mostra di Paul Chan rovinata dal comunicato stampa (prolisso), “La moda è arte? O meglio, che cos’è la moda? Che cos’è l’arte?”, Nuvola Ravera, i titoli occulti di Magritte, i titoli ultraletterali di Garutti, performance, documentazioni di performance, documentazioni di performance che diventano opere, “Dear applicant, we are sorry to inform you”, la creatività e la creazione, la Biennale del 1995, Margherita Moscardini, la teoria istituzionale, “I quadri di Cy Twobly non sono arte. Ma come no? Fa due scarabocchi per fare soldi. Ma come? Cosa dici? Sei impazzito?”.
Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?
Oggi vorrei parlare di un luogo, Vicino a Fano.
Vicino a Fano un gruppo di amici guarda le stelle cadenti.
Vediamo se ne cade una. Aspettiamo un minuto. Shhh…
C’è una moquette, realizzata con le sabbie di: Honolulu, Okinawa, Bonassola, Senigallia e San Diego.
C’è Ichica che pensa di essere una teiera.
C’è una montagna che finge di dormire.
É una danza politica.
C’è una Coca-Cola piena di Pepsi.
E una Pepsi piena di Coca-Cola. (Fa ridere, no?)
C’è un quadrato magico in crisi di identità. Alle volte è la notte che scende sul Mar Rosso.
Altre volte è il tramonto sul Mar Nero.
Ci sono 5 surfisti che pensano alle origini dell’ universo.
C’è uno strano calendario.
Vicino a Fano esiste grazie a Rossella Farinotti, a Ermanno Tassi, agli amici di Senigallia, a Francesco Fonassi, a Riccardo Banfi e a Fanta MLN.
1 Roberto Fassone, Quasi tutti i racconti, di Saverio Verini, postmedia books ottobre 2018 58 pp. 42 ill.
Questo contenuto è stato realizzato da Elena Solito per Forme Uniche.