È morta a 93 anni Cecilia Mangini, la prima documentarista italiana. Il suo uno sguardo puntato sempre sulle zone d’ombra dell’Italia
Ddocumentarista antesignana del genere, Cecilia Mangini è stata una vera pioniera del cinema del reale: dal degrado alienante delle periferie romane alle realtà rurali del Meridione dove magia e pagnesimo soppravvivevano negli anni del boom economico, il suo è stato uno sguardo rivolto sempre alle zone d’ombre e alla realtà ignorate di un Paese pieno di contraddizioni. Il suo lavoro è stato caratterizzato da un grande impegno sociale e politico, mai indebolito da compromessi o ripensamenti.
Nata a Nola di Bari il 31 luglio del 1927, nella prima parte della sua carriera ha reso centrale nella sua opera il tema del Meridione, in seguito subentra l’interesse per la politica, che sviluppa anche grazie al rapporto e alla collaborazione con il marito, Lino del Fra.
La scoperta del cinema avviene in Svizzera, alla fine della Seconda guerra mondiale viene mandata a studiare in Svizzere, lì – nei CineGUF – scopre Jean Renoir per lei è una rivelazione. Tornata in italia continua a sfamarsi di cinema nei neonati cineclub, si innamora del cinema del neorealismo, per lei è una svolta.
Nel 1952 si trasferisce a Roma dove inizia a lavorare come fotografa, non in studi di posa ma per strada. Non è un lavoro per ragazze, ma lei è più ostinata di qualsiasi convenzione sociale. In quegli anni collabora con riviste come Il Punto, Cinema Nuovo, Cinema ’60 e L’Eco del cinema. Sposata con Lino Del Fra parte per le Eolie e lì documenta le condizioni di lavoro sulle isole di Lipari e Panarea.
Dalla fine degli anni ’50 inizia la sua attività come regista di documentari, è la prima donna in Italia. Lavora con il marito e con Pier Paolo Pasolini: Ignoti alla città, il suo primo corto, si ispira proprio a Ragazzi di vita di Pasolini. Siamo nel 1958. La collaborazione tra i due prosegue con La canta delle Marane che immortala l’estate dei ragazzi della periferia romana.
Nel 1959 Cecilia Mangini gira Stendalì – Suonano ancora: dagli scenari urbani delle periferie il suo sguardo si sposta sulla Grecìa salentina dove indaga le dinamiche e dell’arcaismo del Mezzogiorno, dove le ultime prefiche vestite di nero sono ancora impegneate in oscuri canti funebri in dialetto grecanico. Sono gli anni in cui Ernesto De Martino (La terra del rimorso) pubblica Morte e pianto rituale nel mondo antico, analizzando il significato dei riti di trapasso in un Mezzogiorno ancora immerso in atmosfere magiche e pagane.
Fata Morgana, scritto e diretto in coppia col marito, vince il Leone d’oro di San Marco alla rassegna del cinema documentario, svoltasi nell’ambito della Mostra internazionale del cinema: “Fata Morgana è il treno che arriva a Milano dal Sud d’Italia, è il treno degli emigranti, dei “terroni”. Arrivano con pacchi, valige, moglie, figli, portandosi dietro la casa, si muovono a incontrare il miracolo economico nelle sue stesse città. Ma Milano è New York, Sydney, Caracas: grattacieli e uomini sconosciuti che parlano un’altra lingua. Non c’è posto per i braccianti, la città li respinge nelle periferie, nelle zone chiamate “Corea”. Fata Morgana arriva ancora, sempre e sempre nuovi uomini vanno ad aggiungersi all’esercito dei sottoproletari, dei lavoratori fluttuanti che fanno abbassare le tariffe, che sono necessari al sistema anche se nessuno lo dice.”
Nel 1962 con All’armi siam fascisti!, (firmato con il marito e Lino Micciché) sbarca alla Mostra del Cinema di Venezia e suscita aspre polemiche, la scure della censura entra in azione. Il documentario, commissionata dal Partito Socialista Italiano, ripercorre l’ascesa, il declino e le recrudescende del Fascino spingendosi oltre i fatti di Piazzale Loreto – il documentario non manca di sottolineare la connivenza tra Fascismo e chiesa e di interrogarsi sulla forme e i meccansmi della sua soppravvivenza.
Essere Donne, del 64, è uno dei primi film che documenta la condizione delle donne negli anni del boom economico, una fotografia lucida e rivelatrice; la pellicola viene premiata al festival documentario di Lipsia, ma non ottiene il visto della censura in Italia, per cui non viene distribuito. Nel 67 con La scelta Cecilia Mangini affronta – in anticipo sui tempi – il tema dell’eutanasia, dimostrandosi nuovamente un’autrice coraggiosa.
Sempre in coppia con il marito firma e dirige Antonio Gramsci – I giorni del carcere, che nel 1977 si aggiudica il Pardo d’Oro al festival del cinema di Locarno. Dopo una lunga pausa, lei stessa nel 2013 è stata protagonista di un documentario, In viaggio con Cecilia codiretto da Mariangela Barbanente.