The Undoing, mini-serie targata HBO e visibile su Sky Atlantic, sta raccogliendo un ottimo successo di pubblico e critica. Nello svolgersi della trama, dove la tensione è costantemente palpabile, l’arte assume un ruolo rilevante.
Dopo Big Little Lies (2017), il produttore cinematografico e sceneggiatore David E. Kelly torna sul piccolo schermo con The Undoing. Grazie alla regia di Susanne Bier, la miniserie (6 episodi) ritorna sulle atmosfere tipiche dello stile di Kelly, applicandole questa volta all’alta borghesia newyorkese. Tensione altissima, vicenda che si dipana lentamente, attenzione massima ai dialoghi e alla psicologia dei personaggi. The Undoing non lascia nulla al caso e concede allo spettatore il minimo indispensabile, impedendogli di costruirsi da subito un’idea chiara della storia e delle figure che la compongono.
Tra queste ci sono Grace Frazer (Nicole Kidman, nel suo classico abito drammatico), psicoterapeuta e madre di famiglia, solitaria e particolarmente sensibile; Jonathan Frazer (Hugh Grant, in un quasi inedito ruolo drammatico), marito di Grace e oncologo dalle spiccate virtù umane; loro figlio Henry Frazer, ragazzino molto maturo per i suoi 10 anni; Franklin Reinhardt (Donald Sutherland), padre di Grace e personalità di spicco dell’alta borghesia di New York. A questi si aggiunge la figura di Elena Alves – interpretata dalla giovane e convincente Matilda De Angelis – che si muoverà come una crepa in grado di frantumare l’apparente serenità della vita dei Frazer.
Senza entrare troppo nel merito della trama, possiamo dire che la serie fa fede al sottotitolo che in Italia le è stato affibbiato: Le verità non dette. Difatti la vicenda – come accade anche in Big Little Lies – giova dell’intreccio misterioso e riservato, che non offre appigli allo spettatore. Ogni scena è pervasa dalla sensazione di stare ricevendo un’informazione precaria, incompleta, come se fossimo esclusi da una porzione di verità che i personaggi conoscono ma non ci vogliono rivelare. Nulla viene anticipato, poco si può intuire (e spesso è sbagliato). Ricorrendo a una metafora letteraria, sembra che il narratore onnisciente rifiuti di esercitare la sua forza, limitandosi a seguire gli eventi senza approfondire o specificare nulla che non sia prettamente diegetico.
Ma d’altra parte The Undoing non vuole nemmeno richiudersi in un eccessivo ermetismo, ragione per cui dissemina dettagli in ogni sequenza, aiutando chi guarda a penetrare nella psiche dei personaggi per comprenderne scelte e comportamenti, provando poi a prevederne le azioni.
L’arte come indizio psicologico
In tal senso è impossibile non citare il ruolo che ricopre l’arte. Sono numerose infatti le opere che compaiono all’interno della serie, oltre ai tanti riferimenti che ad essa vengono fatti. L’arte, in particolare quella visiva, si configura come una sorta di finestra che ci permette di sbirciare la psiche dei personaggi. In questo caso prosegue quel compito simbolico che anche nella realtà spesso le si addice. Forse è per questa ragione che la maggior parte dei dipinti che compaiono nella serie sono opere realmente esistenti, a cui lo spettatore può aggrapparsi come ancora e sfruttarne possibili interpretazioni. Se i dipinti fossero stati di fantasia, invece, sarebbe stato impossibile decodificarne il valore o contestualizzarle nell’ambiente.
La prima macroscopica annotazione non può che essere una: Elena Alves è un’artista. Il suo appartamento, dove convive con il marito e i figli, non è molto grande; lo è invece lo studio personale dove lavora. Questo, unito alle prime scene in cui compare, suggerisce che si tratta di uno spirito istrionico, non convenzionale, sicuro di sé ma anche ambiguamente fragile, per certi versi ribelle e sicuramente in contrasto con l’ambiente aristocratico che la circonda. Il figlio, Miguel, frequenta infatti la stessa costosa scuola privata di Henry, alla quale è riuscito ad accedere tramite borsa di studio.
In un’altra circostanza – la raccolta fondi a casa degli Spencer – l’arte è utilizzata come specchio delle loro grandi e ostentate possibilità economiche. Grace e Jonathan fanno più volte riferimento alle opere di David Hockney (artista contemporaneo superstar sul mercato) di cui gli Spencer si vanteranno di certo. Anche se queste non appaiono mai (troppo complesso forse ottenerne la licenza), altri scintillanti e appariscenti quadri abbelliscono il salotto degli Spencer e si fanno simbolo di una classe sociale ricca ma poco fine, esteriormente luccicante ma forse spiritualmente scarna.
A loro si contrappone la casa di Franklin Reinhardt. Ugualmente spaziosa e senza alcun dubbio appartenente a un uomo facoltoso, è però arredata con dipinti che appaiono più miti, più personali, intimamente collezionati piuttosto che meramente acquistati. Per farlo Bier adatta una precisa scelta dei quadri esposti: sono realizzati da artisti noti, ma non eccessivamente famosi. Uno stratagemma utile a sottolineare l’interesse sincero e profondo di Franklin per l’arte, una passione che aggiunge spessore umano alla sua figura di ricco e potente imprenditore. Nella sua collezione troviamo dunque Door to the River (1960) di Willem de Kooning, Zapatista Landscape (1915) di Diego Rivera, The Repast of the Lion (ca. 1907) di Henri Rousseau e The Open Window (1921) di Juan Gris.
Inoltre, diverse scene dove è presente Franklin si svolgono in una sala della Frick Collection, dove l’uomo si reca spesso a coltivare in solitaria il suo genuino amore per la pittura. Qui lo vediamo osservare due differenti opere di J.M.W. Turner: Harbor of Dieppe: Changement de Domicile (1826) e Cologne, the Arrival of a Packet-Boat: Evening (1826). Un’altra opera di Turner, The Burning of the Houses of Lords and Commons, 16 October 1834 (1835), è appesa anch’essa nel suo salotto.
Infine c’è un altro dipinto (almeno) che compare nella serie e, nonostante fosse sconosciuto fino a questo momento, anche questo realmente esistente. Si tratta del ritratto di Grace (Nicole Kidman), che all’interno della vicenda assume un ruolo chiave. Viene mostrato solo tramite lo schermo di un iPhone ed è stato realizzato dall’artista Lily Morris, che ha collaborato anche al precedente progetto di Bier, Bird Box (2018).
Dunque l’arte, pur senza mai essere realmente al centro della scena, compare in numerose sequenze e sembra in qualche modo accompagnare tutto lo svolgersi della narrazione, assumendo di volta in volta un ruolo differente: finestra sull’anima, elemento rivelatore, simbolo di appartenenza sociale.