S’intitola Reading between the lines la prima mostra di Johan Deckmann in Italia. Artista, scrittore e psicoterapeuta, i suoi iconici manuali che fanno riflettere sulle abitudini e le debolezze dell’uomo contemporaneo sono esposti alla galleria G/ART/EN di Como. A cura di Camilla Moresi e Angeliki Kim Jonsson, la personale dell’artista danese è visitabile fino al 20 febbraio 2021.
Anche se l’arte contemporanea non è la tua “cup of tea” e credi di non conoscere Johan Deckmann, con molta probabilità hai già visto le sue opere. Nato nel 1976 e basato a Copenhagen, i lavori che lo hanno reso così famoso – condivisi e ricondivisi attraverso i social media – utilizzano come supporto dei vecchi volumi (ma prima anche dischi e oggetti vari) le cui copertine, rimaneggiate con titoli nuovi e dall’estetica inconfondibile, mettono a nudo alcune delle preoccupazioni e assurdità più comuni dell’epoca in cui stiamo vivendo. Oneste e chirurgiche nel cogliere desideri, bisogni e sfumature dell’animo umano, le opere di Deckmann “funzionano” perché ti strappano un sorriso – a volte, dal retrogusto amaro – e ti ci trovi inevitabilmente riflesso.
Ci hanno raccontato di più sulle opere e sulla mostra in corso a Como Johan Deckmann e la co-curatrice e gallerista Camilla Moresi:
Ciao Johan, ciao Camilla. È davvero un piacere realizzare questa intervista per questa prima mostra di Johan in Italia. Leggevo un aneddoto che mi ha colpito, e cioè che avete qualcosa in comune: entrambe le vostre famiglie hanno avuto delle attività che hanno a che fare con i libri. Ce lo raccontate?
Camilla: Ciao Laura, grazie a te per questa intervista. È vero abbiamo entrambi un legame particolare con i libri. I miei bisnonni infatti avevano aperto una delle prime librerie di Como e avevano anche una piccola casa editrice indipendente. Anche per questo motivo sono particolarmente felice di ospitare la mostra di Johan in galleria, perché mi sembra di ‘omaggiare’ in un certo senso l’attività dei miei nonni.
Johan: Da ragazzo sono cresciuto in un negozio di antiquariato collegato a casa nostra, quindi passavo spesso il tempo a esplorarne i vari oggetti, a volte bizzarri. C’erano anche molti dischi e libri di inizio secolo, e ricordo che ero particolarmente affascinato dagli argomenti: storia (ad esempio La filosofia di Gandhi), biologia (La varietà delle scimmie), geografia (che mi facevano venire una gran voglia di viaggiare) e, naturalmente, la psicologia con le sue tante teorie e casi che mi incuriosivano; nel frattempo ascoltavo i Beatles, Édith Piaf, Frank Sinatra e Moon River cantati da Andy Williams.
Camilla, ci racconti come è nata l’idea di ospitare e curare la mostra di un artista – e scrittore, e psicoterapeuta – come Johan Deckmann? La scelta delle opere in esposizione seguono un particolare fil rouge?
C: L’idea della mostra è nata dalla collaborazione con Angeliki Kim Jonsson, curatrice indipendente e fondatrice di DYNAMISK, con cui abbiamo creato un team eccezionale. Oltre al mio interesse per il lavoro di Johan (anche per la connessione personale di cui parlavamo prima) e il desiderio di portare in Italia una sua mostra, ci è sembrato un momento particolarmente adatto. Stiamo vivendo molte problematiche sociali e culturali, e per questo motivo l’approccio artistico di Johan – cinicamente terapeutico – ci sembrava un contributo provocatorio e concettualmente interessante.
Le sue opere riescono ad arrivare ad un pubblico molto eterogeneo per età, genere o cultura, facendoci sentire così meno soli nell’identificarci con le varie problematiche al centro delle sue frasi. Proprio per questo la scelta delle opere per l’esposizione è stata veramente difficile, perché d’istinto andavamo a scegliere quelle che intimamente più ci rappresentavano. Per fortuna, avendo curato la mostra con Angeliki, siamo riuscite a bilanciare meglio la selezione cercando di includere vari temi!
Infine, ci divertiva andare controtendenza: le opere di Johan sono estremamente amate dal pubblico online e, in un momento in cui siamo obbligati a vivere quasi tutte le esperienze virtualmente, noi volevamo regalarvi un’esperienza reale del suo lavoro!
Johan, i tuoi libri “immaginari” si ispirano forse ad un genere di pubblicazione degli anni ‘70, quella dei “self-help” books, salvo poi intraprendere svolte ironiche e terribilmente veritiere. Ricordi quando hai realizzato il primo esemplare, e com’è nata questa lunga e fortunata serie?
J: I miei lavori sono finiti solo nella mente del mio pubblico e i libri antichi sigillati non contengono fisicamente altro che i testi di vari argomenti, solitamente scritti prima che molti di noi nascessero. Quindi potrebbero sembrare immaginari, ma penso che se nella tua vita vivi lasciandoti ispirare da un “libro” specifico o diversi “libri”, allora i miei lavori sono molto reali. Non si ispirano ai libri di “self-help” degli anni ’70.
La mia espressione è un ibrido tra tre cose: copertine di libri vuote a cui do nuova vita come arte, le mie osservazioni sul comportamento umano formulate come un manuale su noi stessi e, infine, il carattere che utilizzo è ispirato a un vecchio poster che ho appeso in casa, che mostra il titolo e la descrizione di una conferenza tenuta una volta da mio nonno. Ho iniziato questa serie in un giorno d’inverno nel 2015. Non abbiamo molta neve a Copenaghen, e il tempo era cupo. Stavo leggendo un passaggio in L’essere e il nulla di Jean-Paul Sartre e ho realizzato che le parole sarebbero diventate il mio strumento artistico. Dipingevo già da anni, ma quel giorno ho capito che volevo unire i miei due campi, psicologia e pittura, usando il libro come uno dei miei media.
Con i loro titoli che fanno riflettere sui problemi comuni della contemporaneità – come i problemi di autostima, o dell’immagine di sé che facciamo filtrare attraverso i social media – la tua arte è estremamente “relatable” e ha un potere comunicativo, credo, che è capace di attirare l’attenzione anche di chi non frequenta abitualmente il mondo dell’arte. Il tuo lavoro di psicoterapeuta ti ha in qualche modo aiutato ad analizzare l’umanità, e a metterne a nudo i punti deboli che accomunano così tanti di noi?
J: Penso che molti dei problemi contemporanei che prendo in esame fossero ben noti già decenni fa. Molto prima che Freud e i suoi colleghi iniziassero a dare un nome a determinati concetti in psicologia. Mi piace il fatto di essere in grado di arrivare a molte persone, al di là di molti confini come nazionalità, sesso, età e così via. Questo riflette il mio modo di approcciarmi alle persone. Apprezzo molto questa sinergia che si crea tra me e il mio pubblico. Questo vale anche per coloro che di solito non frequentano il mondo dell’arte, e per coloro che di solito non frequentano se stessi o un terapista. Il mio lavoro come psicoterapeuta ha un grande impatto sulla mia arte. Mi ha aiutato ad affinare la mia percezione del comportamento umano. Porto la psicologia nel mio studio ma non porto l’arte nella mia pratica psicologica. In qualche modo, vedo il mio pubblico come il mio gruppo allargato di pazienti. Perché, immagino, questo fa parte dell’esperienza di Johan Deckmann.
Ricollegandomi alla riflessione precedente, com’è il rapporto con i social media? Credo non sia sbagliato supporre che le immagini dei tuoi libri circolino all’impazzata, quasi come dei meme…
J: I social media giocano un ruolo importante nel mio caso. Essere in grado di entrare in contatto con individui, collezionisti e gallerie in questa maniera è semplicemente un grande regalo. In vita mia non ho mai preso una delle mie opere sotto il braccio e sono andata in una galleria e ho detto “Questo è quello che faccio”. Creo e condivido. Questi sono i due passaggi della mia pratica artistica. Sono molto grato per questa opportunità. I miei lavori vengono condivisi ogni giorno da molte persone in tutto il mondo. Quindi, mentre creo opere che prendo sul serio tanto quanto la mia pratica psicologica, i miei lavori hanno questa qualità di essere divertenti, e questo significa che vengono mostrate in tutte le parti del mondo a tutti i tipi di persone.
Camilla, quali sono le reazioni del pubblico che visita la mostra?
C: È davvero divertente per me vedere come ogni visitatore, spontaneamente, commenta le opere in cui si identifica di più o di meno! Condividendo spesso queste impressioni con me, anche se totalmente estranei. Come ti dicevo prima, le opere di Johan hanno il potere di creare una immediata solidarietà umana. Devo dire inoltre che mi ha piacevolmente sorpreso come la mostra ha attirato in galleria molti ragazzi giovani. Nonostante l’artistica palette di colori regionali, la mostra è visitabile su appuntamento fino al 20 Febbraio!