Emery Mwazulu Diyabanza è un attivista africano, fondatore e membro del collettivo panafricano Unité, Dignité, Courage (UDC) dal 2014. È politicamente impegnato nella promozione della decolonizzazione dei musei europei, volta a rimuovere manufatti e opere provenienti dall’Africa, bottini di guerra durante il periodo coloniale, e restituirli ai legittimi proprietari.
Lo scopo delle sue azioni non è solo quello di sensibilizzare il pubblico, ma anche e soprattutto di dare avvio o accelerare le campagne di restituzione, che già la Francia ha portato a termine con Benin e Senegal. Nel 2020, Diyabanza ha messo in atto vari interventi di rimozione-restituzione. Con il volto scoperto e filmato dai colleghi, entra tranquillamente nei più grandi musei europei con l’intenzione di recuperare le opere che percepisce appartenenti alla sua cultura. Il militante condivide i video in dirette streaming sui suoi canali social, facendosi portavoce del movimento di riappropriazione dell’arte africana.
Diyabanza non concepisce le sue campagne come furti: sono i colonizzatori che, prima di tutti, hanno saccheggiato, derubato, ucciso, violentato popoli considerati inferiori, trasportando in Europa beni mobili, quali opere d’arte e manufatti, per esporli nei propri musei etnografici. In uno dei video, Diyabanza dichiara:
Dietro questo atto politico e simbolico [la riappropriazione di oggetti] c’è la lotta per la liberazione della nostra madrepatria africana da ogni forma di influenza e di dominio, ma anche la lotta per il recupero del nostro patrimonio culturale e spirituale”. Quando combatti una lotta di liberazione, la tua persona non ha più importanza. È l’interesse collettivo che viene prima di tutto, non quello della singola persona
Sulla linea del movimento Black Lives Matter, la sua lotta contro il colonialismo e il razzismo vuole approfondire la loro nascita e sviluppo: “Spero che insieme affronteremo insieme le cause, una delle quali è la distruzione della nostra base culturale e identitaria”.
“Il fatto che abbia dovuto pagare con i miei soldi per vedere ciò che è stato preso con la forza, il patrimonio che appartiene al mio paese d’origine – in quel momento ho preso la decisione di mobilitarmi”, ha dichiarato Diyabanza al New York Times. L’attivista nega quindi l’apostrofo di “ladro”, paragonandosi in qualche modo a Nelson Mandela: “Anche lui fu definito come un terrorista e qualche anno dopo vinse il premio Nobel per la pace”.
Al Musée Quai Branly – Jacques Chirac, Parigi, Francia
Nel giugno 2020, Diyabanza si reca al museo etnografico di Parigi per prendere un palo funerario ligneo, originario del Ciad e risalente al secolo scorso. In un video di 30 minuti circa, l’attivista è ripreso nell’atto di smontare il manufatto dal suo piedistallo e, a mani nude, portarlo con sé verso l’uscita mentre, a gran voce, spiega le ragioni della sua azione.
“Sono venuto a recuperare le opere d’arte e riportarle a casa”. Il tribunale di Parigi lo ha condannato per furto aggravato e Diyabanza ha dovuto pagare una multa di 1000 euro. In risposta, l’attivista ha deciso di sporgere denuncia contro lo Stato francese per furto e ricettazione di beni. Per DIyabanza è necessaria la “restituzione ora e senza condizioni del nostro patrimonio”.
Al Musée d’Arts Africains, Océaniens, Amérindiens di Marsiglia, Francia
I fatti datano 30 luglio 2020. Accompagnato da altri collaboratori di Unité, Dignité, Courage, Diyabanza è ripreso mentre deambula nei corridoi del museo. “La maggior parte delle opere era richiusa in delle casse di vetro. Questo mi ha sconvolto”, spiega. Attirato da una sciabola della Papua-Nuova Guinea, tenta di sottrarla alla proprietà del museo.
All’Afrika Museum di Berg en Dal, Olanda
Il 10 settembre 2020, Diyabanza prosegue la sua lotta non armata nei Paesi Bassi. Presso l’Afrika Museum, tenta di sottrarre una scultura congolese. Arrestato dalla polizia, è stato rilasciato dopo otto ore. In una dichiarazione, il museo scrive di comprendere “le motivazioni degli attivisti, ma disapprova il modo in cui hanno protestato”, aggiungendo che i lavori di ricerca sulla provenienza delle opere verranno intensificati negli anni a venire.
Nell’ottobre dello scorso anno, un comitato olandese istituito dal governo ha dichiarato che gli oggetti saccheggiati dovrebbero essere restituiti. Una risposta ufficiale è attesa dal governo stesso. “I governi europei non vogliono solo rubare ciò che ci appartiene ma cancellare le nostre identità, per renderci conformi e colonizzarci” ha detto Diyabanza ai giornali olandesi; “siamo determinati a riprenderci quello che ci è stato portato via”.
Il processo agli attivisti si è svolto il giorno 12 gennaio 2021. Il gruppo era stato fermato con le “mani nel sacco” all’esterno del museo. Multato di 250 euro, l’attivista Diyabanza ha subìto la sospensione condizionale della pena detentiva, che comprendeva due anni di libertà vigilata. A lui e ai suoi colleghi è stato vietato l’accesso all’Afrika Museum per tre anni.
I militanti hanno spiegato che la riappropriazione è concepita come “protesta contro la possessione e l’esposizione di statue e arte rubata, in passato, dall’Africa”. Diyabanza ha specificato che “non c’era intenzione di furto nel mio comportamento”.
Al Louvre di Parigi, Francia
La protesta politica continua il 22 ottobre 2020, quando Diyabanza tenta di impossessarsi di una scultura della fine del XVIII secolo, proveniente dall’isola Flores, in Indonesia orientale. Il video in streaming lo riprende nell’atto di rimuovere la scultura e pronunciare un discorso sulle motivazioni del suo atto. Lo staff del museo è intervenuto immediatamente, evitando il danneggiamento dell’opera.
Arrestato dalle forze dell’ordine e incarcerato nella periferia di Parigi, è stato rilasciato tre giorni dopo. Il processo è avvenuto in ritardo il 3 dicembre perché “complicato”, a detta del giudice stesso. Nel frattempo, a Diyabanza era stato impedito l’accesso a qualsiasi museo tramite provvedimento giudiziario. Il militante è stato multato di 5000 euro e sospeso dalla pena detentiva.
Malgrado la benevolenza dei comportamenti di Diyabanza, le sue operazioni non trovano condivisione unanime tra i partigiani della restituzione. La teorica e curatrice Lotte Arndt lo reputa un gesto “interessante, poiché inverte la questione della legittimità della decisione degli usi di questi oggetti museificati […] e punta l’oneroso prezzo d’entrata, che di fatto impone una barriera d’accesso”, spiega a Le Monde. Al contrario, Marie-Cécile Zinsou, presidente della Fondazione omonima con sede in Benin, pensa che la “diplomazia attiva” di Diyabanza “rischia di rovinare tutto nel momento in cui il dialogo si aprirà”.
Sicuramente, la portata mediatica delle prese di posizione del congolese Diyabanza è capace di coinvolgere un ampio pubblico e sensibilizzarlo circa l’importanza della decolonizzazione dei musei. Al contempo, l’augurio è quello che il movimento possa velocizzare le pratiche di restituzione delle opere appartenenti a Paesi extra-europei, nei la loro esposizione acquisterebbe un valore del tutto differente.