A Palazzo Barberini a Roma una mostra indaga il complesso e in parte inesplorato rapporto tra le immagini pittoriche e lo spettatore. Fino al 5 aprile.
Spira un refolo di buon teatro pirandelliano su questa singolare mostra allestita a Palazzo Barberini, che involge le immagini alluse dai dipinti ed, insieme, il pubblico variato dei riguardanti in un sottile gioco mimetico che spiazza il nervo ottico e tenta di revocare in dubbio una consolidata ontologia.
Esiste forse un nesso dialogico tra artefatto e vita reale? Chi guarda? E chi è guardato? E’ possibile eludere la “quarta parete” che ci esclude dal proscenio accattivante della creazione artistica? Sono, queste, soltanto alcune fra le domande che ci vengono incontro. Fra tentazioni catottriche, suggestioni gestaltiche e perplessità semiologiche l’antico, misterico, gioco degli specchi, trova qui una erudita – e a tratti lambiccata – declinazione. Questo coinvolgente teatro della pittura, curato da Michele Di Monte, si compone di venticinque capolavori, distribuiti in cinque sezioni, che abbracciano tre secoli di storia – dal Cinquecento al Settecento – provenienti in parte dalla collezione delle Gallerie Nazionali ma anche da importanti musei europei, come la National Gallery di Londra, il Museo del Prado di Madrid, il Rijksmuseum di Amsterdam.
A darne l’abbrivio e il sigillo, una tela del veneziano Giandomenico Tiepolo, figlio del più illustre Giambattista, raffigurante una folla di personaggi, in gran parte mascherati, ansiosi di godersi il rutilante cosmorama alloggiato all’interno di un casotto di legno, visibile sbirciando nelle fessure praticate sulle pareti. L’intento metalinguistico – o forse, meglio, metapittorico – dell’operazione curatoriale è denunciato fin dai primi passi.
Incontriamo, addentrandoci nelle sale, personaggi che sembrano affacciarsi inopinatamente oltre i confini perimetrali del quadro come la ragazza in cornice di Rembrandt o l’uomo che fuma la pipa di Gerrit Dou; altri che cercano intenzionalmente di catturare il nostro sguardo di spettatori, come i due rudi macellai del dipinto di Passerotti ovvero il grazioso Cupido arciere del Guercino; altri ancora che si mostrano sorpresi dalla nostra inaspettata- e forse indesiderata- presenza come il giovane pittore nel dipinto di Jacob Van Oost o la vecchia zingara ladra nella buona ventura di Simon Vouet; o, infine, che solleticano con sfrontata malizia il nostro istinto voyeuristico come la Venere callipigia del quadro decisamente osè di Lavinia Fontana o le ancelle ammiccanti delle Betsabea al bagno di Jacopo Zucchi.
La verità è che non ci siamo mai rassegnati a guardare al mondo della creazione artistica come ad una realtà separata dalla nostra, relegandola nello spazio statuito di una galleria o di un museo; e ci piace sospettare, insita nel pensiero immaginativo, una fattuale possibilità demiurgica che renda permeabile quell’ineffabile diaframma che ci isola ontologicamente dalle nostre accattivanti ideazioni.
Informazioni
Fino al 5 aprile 2021
L’ora dello spettatore. Come le immagini ci usano
a cura di Michele Di Monte
Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini
Via delle Quattro Fontane 13, Roma