Ed è sempre musica. Luigi Veronesi, Giovanni Pizzo, Lucia Di Luciano è la mostra che approfondisce la ricerca dei tre artisti sulla possibilità di tradurre in colore le espressioni musicali. Dal 4 marzo al 30 aprile 2021 la sinestesia aleggia negli spazi della galleria 10 A.M. ART, Milano.
Il suono non è facilmente definibile a parole. E, anche quando si trovano dei termini per dettagliarlo, questi spesso non appartengono al campo semantico dell’udito: alto, profondo, lieve, greve, chiaro, scuro, acuto. Il suono sembra sfuggire a ogni definizione precisa, affidandosi alla sinestesia come chiave interpretativa. Il fenomeno della sinestesia, infatti, si realizza quando stimolazioni provenienti da una via sensoriale inducono a delle esperienze in un secondo percorso sensoriale.
Un altro aspetto interessante è che il suono mira inizialmente all’orecchio, ma finisce per coinvolgere tutto il corpo. La fisicità con cui un suono ci investe la esperiamo quotidianamente quando entriamo in contatto con una sorgente sonora tanto intensa da farci vibrare. Sembra quasi che il suono – come la musica, ovvero la sua declinazione più poetica – si muova per interferenze percettive, sfidando i nostri sensi a decifrarne il segreto.
E infatti sono tanti gli scienziati, medici, studiosi, ma anche musicisti, artisti e appassionati che hanno cercato di sbrogliare la matassa del suono, approfondendone le misteriose sfumature. Difatti la sinestesia, a cui il suono sembra particolarmente incline, non è solo una suggestione retorica da utilizzare in poesia, ma un vero e proprio fenomeno fisiologico e psicologico. Le ricerche attorno all’argomento hanno portato a stabilire in particolare una stretta connessione tra suono e immagine. Nel fenomeno dell’audizione colorata, per esempio, uno stimolo sonoro determina nel soggetto anche un’impressione di tipo visivo. Molto spesso, un colore.
Su tali fascinazioni la Galleria 10 A.M. ART di Milano trasforma le sue sale in uno spazio sinestetico. A tessere questa bilaterale connessione tra suono e colore sono le opere di Luigi Veronesi, Giovanni Pizzo e Lucia Di Luciano. I tre hanno condiviso – pur a distanza e con presupposti differenti – un analogo linguaggio astrattista capace di tradurre visivamente le espressioni musicali. Ora la mostra Ed è sempre musica. Luigi Veronesi, Giovanni Pizzo, Lucia Di Luciano ne raccoglie gli esiti, evidenziando in modo chiaro e suggestivo come una nota può essere tradotta in colore.
Luigi Veronesi (Milano, 1908-1998) ha realizzato un vero e proprio dizionario che associa ad ogni nota una precisa tonalità cromatica. Un sistema di trasposizione attraverso a cui l’artista ha realizzato le visualizzazioni cromatiche, nucleo centrale della sua opera. L’esposizione ne presenta alcuni tra i più importanti: quelli tratti dal Contrapunctus II a quattro voci in re minore da Die Kunst der Fuge BWV 1080 di Johann Sebastian Bach (serie di undici pezzi, del 1970), dal 2ème sarabande di Erik Satie (sette elementi, 1982-1983) e dal poema per pianoforte op. 72 Vers la flamme di Aleksandr Skrjabin (ciclo di quattordici collages su cartoncino, del 1983-1985).
A chi è in grado di leggere il suo sistema, le opere rivelano l’intero evolversi del brano: le due linee superiori rappresentano le note da eseguire con la mano sinistra, le due inferiori quelle da eseguire con la destra. Gli spazi neri sono le pause.
Una sorta di partitura alternativa, dove in luogo dei segni grafici del pentagramma, delle note e delle pause, sono utilizzati rettangoli colorati. In questo modo i dipinti – realizzati applicando sezioni colorate agli sfondi – offrono una comprensione immediata e istantanea della struttura ritmica di un brano. Sono gli studi realizzati da Veronesi ed esposti in mostra a esplicitare il metodo e a consentirci oggi di tradurlo, godendo al massimo dei suoi risultati. La soluzione espositiva, inoltre, pone i singoli elementi delle visualizzazioni in varie combinazioni, tutte consigliate dallo stesso artista: in file di due o allineati su una stessa linea (forse la resa più efficace).
Se la ricerca di Veronesi si è concentrata sulla resa della musica classica, quella di Giovanni Pizzo (Veroli, Frosinone, 1934) e Lucia Di Luciano (Siracusa, 1933) ha volto il suo interesse verso la nascente musica elettronica. Libere da vincoli e da schemi precisi, le sonorità elettroniche hanno sedotto i due artisti – legati per più di un cinquantennio in un sodalizio sia professionale sia sentimentale – che hanno cercato di tradurne le vibrazioni in forme e colori. Nella loro pratica non c’è un rigido sistema associativo come in quelle di Veronesi, ma un istintuale disposizione dei nuclei segnici-cromatici evocativi di un suono. Se Veronesi ha inteso la sua impresa sinestetica in senso matematico-scientifico, Pizzo e Di Luciano l’hanno approcciata dal punto di vista poetico-istintuale.
L’alfabeto visivo di Giovanni Pizzo è definito da lui stesso Sign-Gestalt e rimanda alla nozione di un “segno-forma”, impiegato come elemento primario di un alfabeto visivo articolato secondo progressioni ritmico-musicali di moduli geometrici. Guardando le sue opere bisogna dunque lasciarsi coinvolgere dal ritmo senza pretesa di comprenderlo, ma apprezzandone l’evolversi cromatico travolgente, vibrante come una musica mai ascoltata. Le melodie cromatiche che ne risultano sono illusioni dal sapore optical, percorsi visivi che suggeriscono tremori uditivi, spasmi sensoriali che confondono fonti ed esiti. Il medesimo senso di dolce spaesamento lo si percepisce nelle opere di Lucia Di Luciano. Per esempio in Cromo struttura del 1978 e Articolazione strutturale discontinua del 1980, basati sul modulo del rettangolo, che “scorre” in senso orizzontale da sinistra a destra su fasce sovrapposte, alla stregua di una partitura di forme colorate.
Non è molto noto, ma entrambi, già negli anni Sessanta, intrattennero uno stretto rapporto con il compositore veneziano Pietro Grossi, fondatore dello Studio di Fonologia di Firenze e pioniere in Italia dell’uso dell’elettronica nella musica: a lui si devono “sonorizzazioni” e installazioni acustiche realizzate ad hoc per mostre dei due artisti.
In almeno un’occasione, questa modalità per così dire sinestetica fu posta in atto da Pizzo e Di Luciano utilizzando tracce di Iannis Xenakis.
Anche successivamente i due artisti furono in contatto con compositori e, in generale, prestarono un’attenzione non comune – e assai precoce e rabdomantica – alle permutazioni del suono tipiche dei minimalisti (l’esempio più famoso è quello di Philip Glass) e all’adozione della sezione aurea e della serie di Fibonacci, negli anni Settanta, da parte di molti compositori statunitensi.
Paolo Bolpagni, Curatore della mostra
L’esposizione si configura dunque come un eterogeneo – ma organico – concerto visivo dove ogni dipinto rappresenta una criptica melodia. L’occhio balla al suonar dell’opera e l’orecchio si tende al veder scorrere, tra le bianche pareti della galleria milanese, un componimento classico che ci avvolge e trasporta in uno spazio dove i sensi si avvicinano fino a sovrapporsi. Non sappiamo esattamente da dove provenga questo sentimento: ma ce lo godiamo.