Nell’audizione davanti alle commissioni Cultura di Camera e Senato il Ministro della cultura, Dario Franceschini, si occupa pressoché solo di spettacolo
È un paradosso, ovviamente. Non siamo alla riedizione della hegeliana “Morte dell’arte”, che tanti fiumi di inchiostro ha fatto versare negli ultimi secoli. Eppure, chiunque viva o lavori – e sono tanti, fra i nostri lettori – in qualche modo nei dintorni dal “mondo dell’arte”, ascoltando il Ministro della cultura, Dario Franceschini, nell’audizione davanti alle commissioni Cultura riunite di Camera e Senato, qualche crisi di identità l’avrà – o l’avrebbe – avuta. Per dar spazio ai freddi numeri: nei 26 minuti circa del suo intervento, la parola “arte” non è risuonata mai. Nemmeno una volta. La parola “Musei”, una sola volta.
Accingendoci a riferire dell’intervento, avevamo ipotizzato un titolo diverso. “Franceschini, cambi il nome in Ministero dello Spettacolo”. Già, perché il dicastero del Collegio Romano, già depauperato da Draghi con la nascita di un distinto Ministero del Turismo, sembrerebbe aver pressoché unificato le proprie attenzioni verso lo spettacolo, diversamente inteso. Questo era già trapelato constatando le tipologie di interventi di sostegno per la crisi pandemica. Con miriadi di misure volte a sostenere ora i cinema, ora i teatri, ora lo spettacolo viaggiante. E con larghe aree che dovrebbero essere di competenza di Franceschini, come le professioni “artistiche”, pressoché ignorate.
Ma ora, anche ascoltando le linee guida del “Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)” – con buona pace di Draghi, che detesta la resilienza – queste sensazioni trovano inesorabili conferme. A cinema e teatri il ministro ha dedicato il suo esordio dialettico, lamentando che la riapertura degli stessi, ipotizzata per il 27 marzo, potrà avvenire soltanto nella “bianca” Sardegna. Dopo speciose rassicurazioni su un inevitabile “Rinascimento” che riguarderà tutti a fine pandemia, dopo parecchi generici “rafforzare”, “sostenere”, “internazionalizzare”, è emerso che il prossimo obbiettivo forte del MiC è… varare il Codice dello Spettacolo. Una serie di norme – citando Franceschini – che sia sulla falsa riga… della Legge per il Libro e della Legge per il Cinema. Questa, e solo questa, pare essere la sua idea di Ministero della Cultura.
Sensazioni confermate nell’esposizione dei progetti relativi al Piano nazionale di ripresa e resilienza, che impegnerà ben 5,6 miliardi di euro. Fra le voci coperte ci saranno gli “Attrattori Culturali” – cosa sono? Il ministro cita il Porto di Trieste -, la digitalizzazione, l’accessibilità ai luoghi culturali, periferie e borghi rurali, la messa in sicurezza dei luoghi di culto (non è un refuso, è proprio questo).
Infine: le Industrie Culturali e creative. E qui le suddette professioni “artistiche” tirano un sospiro di sollievo? Sprecato, sappiatelo. Perché Franceschini, per esemplificare in quali rivoli saranno dirottati in questo caso i finanziamenti, cita – ma vah? – il cinema, il recupero e valorizzazione di Cinecittà, e le location per girare le fiction, che aiutano tanto a pubblicizzare la bella Italia. Non ci credete? Riguardatevi l’intervento al link qui sotto…