Da quando la digital art ha fatto la sua irruzione col botto nel salotto buono di Christie’s con un bel 69.346.250$ di aggiudicazione per un “semplice” file, il milieu non si è più ripreso. Tutti a chiedersi, ma chi cazzo è ‘sto Beeple, al secolo Mike Winkelman? Che minchia mi significa ‘sto digital collage “Everydays: the first 5000 days”? E giù tutti a parlare con nonchalance di NFT (Non Fungible Token) e blockchain, che manco Woody Allen in fase di corteggiamento.
Diffidate di chi tenta di spiegarvi quelle super tecno diavolerie, sono veramente complicate, mutuate dal mondo delle cripto valute che sostanzialmente servono a dare valore al nulla. Partiamo da qui, dare valore al nulla che, detta così, sembra una boutade, ma è invece una sofisticata operazione che necessita appunto di un adeguato apparato tecno ed è figlia di un salto logico probabilmente epocale. Facciamo un passo indietro, al momento in cui il web ha preso il sopravvento sulle nostre vite e ha reso “vero” un mondo parallelo. Tra i molti frutti di questo distopico paradiso, la mela della disintermediazione è probabilmente quello più ricco di implicazioni. È la mela che, oltre a distruggere intere categorie professionali ed annessi settori economici, aggredisce tutti i fortilizi, financo le Banche Centrali, le uniche almeno finora ad avere il diritto di battere moneta a fronte di un “collaterale” – oro, potenza economica… – vale a dire qualcosa che ne garantisca il valore. Ecco in parole povere a cosa servono NFT e blockchain: sono il collaterale che garantisce il valore di scambio virtuale.
Eccoci giunti sul gradino più alto di quella lunga scala che ci ha condotti al processo culturale di totale astrazione, processo al quale il linguaggio dell’arte non è affatto estraneo. A cominciare dalla crisi epistemologica duchampiana, passando per il tautologismo linguistico dei concettuali dei primi anni 60, su fino al decostruzionismo e relativismo culturale post moderno, per arrivare alle più recenti declinazioni che teorizzano la sparizione dell’opera, il linguaggio dell’arte ha rappresentato lo smarrimento di qualsivoglia “collaterale”. Perduti i riferimenti con la Storia e la Memoria, reciso ogni ancoraggio metafisico, non rimane che uno smisurato ego determinato ad affermarsi. Più del COVID potè l’AIDS culturale che mina il sistema immunitario dell’occidente che non si riconosce più. Non c’è da stupirsi, dunque, del successo della net-art e delle sue mirabolanti performance economiche, sono perfettamente consentanee al mood del contemporary. Non a caso Damien Hirst, il più intelligente e diabolicamente astuto artista in circolazione, si è già buttato sul cripto business proponendo su una piattaforma dedicata una serie di stampe raffiguranti alberi di ciliegi in fiore, dal titolo Virtus, alla modica cifra di 3000$ l’una. L’edizione è determinata sulla domanda e l’offerta è a tempo.
Del resto DH si era già dimostrato il più lesto a comprendere le leggi del mercato e della finanza già nel 2008 tanto da proporre, bypassando il circuito delle gallerie, direttamente le sue opere da Sotheby’s, simbolicamente in concomitanza con il fallimento di Lehman Brothers.
Ecco come il sogno utopistico e libertario dei pionieri del web si è risolto nella cacciata dal paradiso.
Il paradiso tu vivrai
Se tu scopri quel che hai…
La vita è così
Tu quando non hai
Vuoi avere di più
E dopo che hai
Ti accorgi che tu
Fermarti non puoi…
Il paradiso tu vivrai
Se scopri quel che hai…
Paradisiaci saluti
L.d.R.