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Circulation(s): il festival parigino va in scena online e in metropolitana 

© Inka e Niclas
© Inka e Niclas

Per la sua 11° edizione, il festival della giovane fotografia europea Circulation(s) si reinventa con una versione online. Non solo: fino al 2 maggio, le opere di quattro autori sono esposte nei corridoi di tredici stazioni della metropolitana di Parigi.

Ancora nessuno spiraglio di luce in Francia, dove il week-end del 20 e 21 marzo è iniziato un terzo lockdown che riguarda alcune regioni tra cui l’Île-de-France. Se le scuole rimangono aperte, l’appellativo di “servizio essenziale” si estende a nuove categorie di commerci e il coprifuoco è esteso alle 19, le serrande rimangono abbassate per musei e istituzioni culturali. È il caso del festival dedicato alla fotografia emergente in Europa Circulation(s). Da undici anni, la kermesse organizzata dal collettivo Fetart va in scena al Centquatre-Paris e in altri spazi espositivi in Francia e all’estero. Quest’anno, un focus è dedicato al Portogallo, in partnership con la Fondation Calouste Gulbenkian, mentre una mostra-satellite ha luogo presso l’Ambasciata francese in Armenia, a Erevan.

Per sopperire al vuoto primaverile, l’edizione 2021 di Circulation(s) è visitabile online, dove propone una serie di iniziative virtuali per tutta la durata del festival: come il live del mercoledì alle 18, che interroga uno dei 33 artisti selezionati sulla propria pratica. Oppure, l’appuntamento con InFiné x Circulation(s) Curated By, previsto ogni giovedì alle 9, in cui i fotografi condividono di volta in volta una loro playlist musicale.

© Numéro

Tra gli artisti selezionati, quattro hanno l’opportunità di esporre in carne e ossa, in uno degli spazi-clou della capitale francese, luogo di transito che, nonostante i lockdown, non ha mai smesso di essere affollato: i lunghi corridoi della metropolitana, spesso labirintici e chilometrici e sempre tappezzati di pubblicità. Le stazioni-museo sono: Hôtel de Ville, Châtelet, Luxembourg, Saint-Denis Porte de Paris, Gare de Lyon, La Chapelle, Saint-Michel, Madeleine, Pyramides, Les Halles, Bir-Hakeim, Jaurès, Nanterre-Université. 

La street-photography di Bobby Beasley si colloca particolarmente bene nel contesto sotterraneo. Fotografo autodidatta, gestisce un negozio di vestiti vintage a Hull, nel nord dell’Inghilterra, insieme ai genitori. Ed è proprio alla quotidianità di commerciante che si lega la sua pratica artistica. In Roughly 1,000 Miles Per Hour, realizzata nel 2020, l’artista ritrae i passanti nelle vie della città inglese dopo i mesi confinati nelle proprie case. Servendosi di un flash spietato, Beasley incide dettagli di un quotidiano che, nella sua banalità, ha continui sprizzi di assurdo.

© Bobby Beasley

Tra i corridoi piastrellati si stagliano le fotografie di Bianca Salvo, artista italiana che vive e lavora a Bogotà, frutto di una ricerca iconografica e documentaria durata due anni, e rivolta all’immaginario spaziale. The Universe Makers  (2016-2018) illustra la visione umana dello spazio nella cultura pop: cosmonauti, scafandri, pianeti, stelle e missili costellano fotografie mixate a collage, dando vita a immagini retro-futuriste in bianco e nero o dai colori pastello. La fotografa ha proseguito il viaggio con Time and Again, realizzato tra il 2017 e il 2018.

© Bianca Salvo

Il rapporto tra fotografia e paesaggio è al centro della pratica di Inka e Niclas. Il duo svedese indaga il modo in cui l’onnipresenza del mezzo fotografico altera il nostro rapporto con la natura, spesso considerato semplice sfondo per le nostre foto. Flash di colore rosa, giallo e blu compongono immagini al contempo kitsch e poetiche: nella serie di aurotritratti Family portraits, la coppia, insieme al figlio, indossa vestiti riflettenti, apparendo come forme luminose nel centro di paesaggi naturali. Richiamando il cliché della foto di famiglia in vacanza, i due artisti sublimano il momento con uno scatto di luce accecante: i volti spariscono e creano un’opera universale.

© Inka e Niclas

Infine, le grigie banchine si colorano delle immagini di Benjamin Schmuck, diplomato presso l’école des Gobelins di Parigi. Il fotografo ha trascorso due anni in Benin, posando lo sguardo sui riti funerari: se in Occidente sono dominati dal nero, in questo paese africano l’omaggio ai morti è un tripudio di colori. Nella serie e Lever les sages (2019-2020), l’artista rende omaggio a queste tradizioni ancestrali attraverso dei ritratti sontuosi che documentano gli abitanti nell’atto di incarnare i morti, accompagnandoli nella loro traversata verso l’altro mondo.

© Benjamin Schmuck

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