Hybrid Archipelago fornisce una mappatura provvisoria, consentendo un confronto tra le diverse pratiche artistiche sviluppate delle giovani generazioni italiane all’estero. La rubrica cerca di trarre alcune conclusioni che potrebbero essere rilevanti per la scena artistica contemporanea muovendosi nelle riflessioni degli artisti, tra ricerche spesso parallele ai luoghi dove hanno deciso di trasferirsi sviluppando una mappa in divenire nella quale confluiscono i saperi.
Questo mese mi confronto con l’artista e performer Laura Cionci (Roma, 1980), profondamente legata all’Australia. La sua ricerca coltiva pratiche relazionali per lo sviluppo di processi creativi volti a riattivare le potenzialità energetiche umane in relazione alla biodiversità e al territorio.
Come stai cambiando il mondo con la tua arte?
Inizio, prima di tutto, a migliorare me stessa attraverso le esperienze, attraverso gli altri. Sento questa professione come un’opportunità per divenire mezzo di realizzazione di un pensiero, un concetto, un simbolo perduto, personale o collettivo. Ci si deve spingere a guardarsi molto da vicino e subito accanto. Ho interesse a conoscere colui che punta il dito alla luna. Lavoro da tempo sull’aspetto della semplicità nel quotidiano, è un allenamento costante e complesso. Far cadere zavorre, strati e maschere per raggiungere quella morbidezza antica, da proteggere ma anche da utilizzare per rivelare. Ricercare la forza della fissità e nella staticità poter progredire. Entrare nel mondo è scegliere una direzione da seguire dove ce ne sono molte e convivere con la moltitudine della diversità per assorbire il potenziale dell’ibrido che è intorno.
È il mondo che cambia me e di conseguenza il mio processo creativo, l’espressione che vuole accarezzare sempre nuove superfici per riempire l’archivio esperienziale. Senza smanie o ansie da prestazione, attendo di scoprire ogni volta un nuovo p(e)assaggio.
“L’arte oggi viene sempre più profanata e privata dell’incanto; la magia e l’incanto, che rappresentano la sua effettiva origine, l’abbandono a favore del discorso. L’Esterno favoloso viene sostituito dall’Interno autentico, il significante magico dal significato profano. Al posto di forme stringenti e seducenti si fanno largo contenuti discorsivi. La magia cede il passo alla trasparenza, l’imperativo della trasparenza sviluppa un’avversione alle forme. L’arte diventa trasparente in riferimento al proprio significato; non seduce più, l’involucro magico viene buttato via.”
Estratto da La scomparsa dei riti di Byung–Chul Han, edizioni Nottetempo.
Come possiamo condurre delle vite soddisfacenti sostenendo l’ambiente da cui dipende il nostro benessere e il nostro sostentamento? Come trasporti questo concetto nei tuoi lavori?
Condurre vite soddisfacenti sostenendo l’ambiente:
-Conoscendo l’origine delle cose che ci circondano e di quelle che si mangiano.
-Avere un profondo rispetto per il lavoro, gli esseri tutti, come per i luoghi.
-Non essere fondamentalisti: viviamo in un una struttura sociale così stratificata e complessa che siamo tutti artefici, anche se in piccola parte, dell’utilizzo e del consumo del nostro ambiente. È necessaria tolleranza per comprendere e apertura per una costruzione inclusiva. Sono consapevole che ci voglia una sterzata brusca arrivati nel punto storico di emergenza, ma non deve essere aggressiva perché il risultato potrebbe essere opposto e il momento richiede delicatezza.
-Vivere esperienze importanti che vadano fuori dal nostro ambito quotidiano e tocchino luoghi profondi del sé, farsi attraversare da emozioni importanti trovando un contatto anche semplice con la natura. Non scivolare nella ruota del criceto. Trovare uno slancio attraverso la curiosità, scoprire e conoscere scardinando i differenti stati di paura che portano ad un appiattimento e un’accettazione passiva delle proposte del sistema.
-Immedesimarsi.
Trovo molto difficile essere esaustiva per rispondere a questa domanda, proprio per questo utilizzo mezzi esperienziali nell’arte.
Da diversi anni ormai mi sono avvicinata alla natura grazie anche all’immersione nei contesti in cui venivo coinvolta: comunità, luoghi in differenti parti del mondo, conoscendo culture e tradizioni che hanno influenzato non solo il contenuto del mio lavoro ma anche il processo. Le antiche usanze che vengono tramandate fino ai nostri giorni possono prendere un nuovo corpo: gli intrecci orizzontali dell’ecosistema con le conoscenze delle passate civiltà e quelli verticali dell’uomo contemporaneo (le nuove tecnologie e le scoperte scientifiche) generano strutture inaspettate con un alto potenziale di sopravvivenza, per l’uomo e per il pianeta. Ho toccato col mio corpo questa grande possibilità traendo degli enormi vantaggi e negli ultimi due anni sto virando la mia ricerca su questi punti di intersezione. Non è una visione dall’alto della struttura che si evolve ma un’immersione totale volta a essere utilizzata in primis sulla mia persona e in un secondo momento tradotta attraverso le azioni e le opere che realizzo tentando questo coinvolgimento dell’altro. L’opera generata dall’azione racconta simultaneamente se stessa e la cultura circostante, il territorio, i personaggi coinvolti, diventando parte profondamente integrata al pubblico partecipante. In tutte le varie fasi del lavoro, quello più soddisfacente per me è il ritorno emozionale dei partecipanti che riportano la testimonianza dell’esperienza, rinnovando l’opera, mantenendola viva e quindi aiutandomi nel processo creativo successivo, aprendo il percorso.
Prove di R(i)esistenza, alla Fondazione Baruchello, è stato uno dei progetti più interessanti realizzati in questa lunga fase di profonda incertezza e inquietudine. Il lavoro ha operato attraverso una metodologia fondata sulle forme di partecipazione e collaborazione, attuando una ri-esistenza attraverso la volontà creativa e politica di immaginare i nuovi modi dell’essere e del relazionarsi nel tessuto sociale, e politico. Ci introduci Moto Perpetuo?
Prove di R(i)esistenza progetto ideato e curato da Ilaria Conti per la Fondazione Baruchello ha toccato la corda giusta.
“Resistenza come ri-esistenza” è la nozione articolata dal pensatore colombiano Adolfo Albán Achinte in quanto serie di “meccanismi che le comunità creano per inventare la vita quotidiana e il potere, mentre (…) si confrontano con il progetto egemonico”. Prove di R(i)esistenza risponde alla proposizione di Achinte attraverso progetti che non esercitano semplicemente una forza oppositiva di resistenza o denuncia dello status quo, ma operano una ri-esistenza attraverso la loro volontà creativa e politica di immaginare nuovi modi quotidiani dell’essere e del relazionarsi.”
Estratto dal booklet della mostra PROVE DI R(I)ESISTENZA di Ilaria Conti, Fondazione Baruchello.
Ilaria ha coinvolto artisti e collettivi di ricerca che lavorano a questa metamorfosi da alcuni anni, riuscendo così a portare alla luce le ricerche e i percorsi che sono in pieno sviluppo e creare uno spazio per il pubblico che si trova oggi improvvisamente catapultato in una realtà invece, già battuta dagli artisti. Una finestra importane che oltre a esporre le ricerche, propone una biblioteca con volumi indicati dagli artisti, dalla stessa curatrice e dalla Fondazione, un tassello della struttura che permette al visitatore di entrare in profondità, di capire gli inizi dei vari progetti e quindi offrire delle ancore intellettuali con testi che insieme posso dare un’opportunità di riflessione e azione per chiunque sia interessato. Senza dubbio una mostra politica perché attuale e che non propone un arrivo ma una partenza.
Stato di Grazia/MOTOPERPETUO è parte della lunga ricerca che ho cominciato nel 2015 ma che vede la luce come contenitore Stato di Grazia, nel 2019. È una delle parti che vanno a comporre la superficie dove mi sto muovendo in questo momento.
“La ricerca artistica di Laura Cionci è volta a trasformare le forme di cura del sé, la relazione con l’altro e la comprensione della forza simbolica ed energetica di forme viventi quali piante ed animali. Per Prove di R(i)esistenza, l’artista sviluppa degli incontri nel quartiere della Fondazione Baruchello, Monteverde, per intrecciare un dialogo diretto con il contesto del progetto. In una serie di workshop condotti alla Fondazione, Laura coinvolge i partecipanti in un percorso fisico ed onirico per esplorare la simbologia degli animali guida ed individuarne il proprio. Il risultato è condensato in una pittura collettiva circolare che, attraverso i suoi segni primari, rende visibile la forza di una scoperta intima. Tale processo coinvolge anche l’artista, che ne restituisce una narrazione simbolica in un acquerello che si costituisce come orizzonte visivo ed immaginativo di uno spazio in cui la vegetazione non è complemento, ma compresenza, grazie alle sue qualità materiche e fitoterapiche. La relazione con altre forme di vita è esplorata ulteriormente attraverso una serie di conversazioni nel quartiere, condensate in segni e parole in cui gli abitanti di Monteverde sintetizzano dimensioni botaniche personali in una narrazione corale. L’installazione si conclude invitando il pubblico a coltivare saperi marginalizzati per creare nuove relazioni con altre forme viventi”.
Estratto dal booklet della mostra PROVE DI R(I)ESISTENZA di Ilaria Conti, Fondazione Baruchello.
MOTOPERPETUO perché in questa occasione il lavoro si alimenta da solo in un anello che genera e rigenera. Ho raccolto e rielaborato alcune delle esperienze che hanno toccato delle corde profonde nella mia recente vita e che mi hanno aiutato e mi aiutano ancora oggi a capirmi e affrontarmi. Trovando beneficio da questi incontri passati, ho voluto trovare il modo di offrirli all’altro nel rispetto del passaggio delle informazioni a me arrivate e con l’estrema delicatezza di cui hanno bisogno. Queste nozioni e intenzioni, che ho potuto rivivere passandole al prossimo, si sono trasformate in immagini e sensazioni che hanno creato un evento intenso sia per me sia per i partecipanti. Attraverso i loro racconti e gli scambi ho in seguito realizzato il grande cerchio e le due installazioni di carta accompagnate da alcuni scritti. Questi stessi operati sono tornati al pubblico per ricominciare un racconto e muovere delle emozioni dal punto di vista dell’opera sul supporto e attraverso un ambiente, un odore e un’atmosfera scaturite anche dagli elementi naturali presenti. Questi ultimi rappresentano lo stato circolare vitale che si adatta e cangia nel tempo e a seconda dello spazio, non trovando mai fine. Cerco in qualche modo di farmi attraversare dalle persone e dai luoghi per metabolizzarli in un’unica visione facendola uscire con una struttura che invita all’immedesimazione di chi la incontra.
Lo studio delle comunità è diventata capillare in una mia imminente pubblicazione. La ridefinizione del vivere di una comunità si realizza concretamente nella pratica. Alla Fondazione Baruchello hai attivato una serie di workshop partecipativi con gli abitanti del quartiere Monteverde, in cui si trova la Fondazione. Cosa è emerso?
Trovare delle forme di condivisione e relazionali in un momento così complesso come questo non è stato facile perché per anni ho sempre lavorato con comunità attraverso pratiche che si incontravano con la cultura del posto, gli usi e costumi. Immergersi implica tutti i sensi sia per realizzare l’azione ma soprattutto per entrare in empatia e coinvolgere il più possibile l’altro, chiunque esso sia. Questo “chiunque” comporta lo studio di una serie di codici per poter entrare in comunicazione, anche in maniera abbastanza rapida, con il singolo e con la comunità. Nel caso del lavoro alla Fondazione ho provato ad affrontare la ricerca in due modi differenti: uno proponendo uno scambio sonoro e un lavoro onirico negli spazi della fondazione, quindi molto intimo e fisicamente non compromettente, per poi cogliere le informazioni necessarie alla realizzazione del lavoro centrale, e un altro attraverso l’incontro con persone sconosciute fuori, nel quartiere (assai più complicato!) trovandole nei parchi o nei momenti liberi che avevo in quei giorni ancora abbastanza elastici da restrizioni. La sorpresa non è stata la paura del contatto o una chiusura ma un’estrema necessità di raccontarsi. Partendo da domande che potevano innescare una piccola curiosità si finiva in pochi minuti a parlare della propria vita personale, dei ricordi d’infanzia, di domande esistenziali! Lo stupore che continuamente si innesca in me, benché rigido e vincolato da regole nel caso specifico, mi porta a insistere ancora di più sulla relazione che genera l’inaspettato e crea l’opera al di là dell’artista e del pubblico. Mi rendo conto che c’è bisogno di una curiosità verso l’altro e che c’è un’urgenza all’ascolto. Credo che i social ci diano il modo di parlare di noi, ma il problema è che tutti lo fanno contemporaneamente e le informazioni non solo si perdono ma assumono tutte la stessa valenza superficiale e di rapido consumo. La mancanza e l’incomprensione, con un seguito di aggressività nell’imposizione, è scaturita dal togliere il tempo di attesa ed ascolto mentre l’altro interviene. Quel silenzio dall’altra parte è lo spazio che fa germinare una nuova idea, un contenuto che diventa altro per entrambe le parti. Un’evoluzione.
Vorrei concludere la conversazione chiedendoti: cosa ha rappresentato per te l’Australia? Quali differenze ci sono rispetto il sistema dell’arte italiano?
Se penso all’Australia il pensiero è proiettato nel tempo e non nello spazio. Quando sono lì mi sento di vivere in luoghi (parlo dell’ecosistema) che appartengono ad altri mondi. Non perché sono a me sconosciuti, ovviamente, perché continuo a scoprire territori anche intorno alla mia nuova casa in campagna, ma per la loro atmosfera extra-terrestre. Un paese che si trova sulla terra ma che ci è arrivato solo successivamente da uno spazio sconosciuto dell’universo. Attraverso le forti sensazioni che percepisco mi inoltro anche nelle sue profondità culturali e nella sua simbologia ancestrale trovando una parte della mia cura nelle conoscenze aborigene. Come il Sudamerica, anche l’Australia non ha spessa stratificazione storica rispetto all’Europa, dunque il primordiale è davanti ai miei occhi e sotto le piante dei piedi. Posso apprendere e farmi aiutare dalla saggezza di un tempo che non è stata distorta, forse in parte cancellata, dalle culture coloniali (per ora resiste). L’Australia è il mio scalino verso una direzione luminosa, l’aria contiene un’elettricità positiva che pervade il corpo perché così viva e giovane perché sconosciuta. Credo che chiunque arrivi dal vecchio continente può percepire questa sensazione. È l’ago di una bilancia che rende l’equilibrio. Se in Sudamerica vivevo nel “mondo di sotto”, in Australia conosco “il mondo di sopra”. Una forza che ha a che vedere con le galassie e gli altri pianeti in opposizione al Sudamerica, che mi ha fatto conoscere le zone più profonde e recondite della terra. Il territorio preistorico con una società piccola seminata qua e là sulle coste del continente. Migliaia di spazi sacri e una natura che canta senza spartito. Sicuramente l’Australia custodisce grandi segreti e apporta un valore inestimabile di energia al globo, forse per questo il suo posto non è così veloce da raggiungere: è una delle sue protezioni per salvaguardare ciò che siamo stati e forse saremo.
Differenze del sistema dell’arte sono moltissime a cominciare dall’età di questo e dalla posizione a suo sfavore, ma dagli spazi e dalle potenzialità sia culturali che economiche a suo favore. Diciamo che il nostro sistema è un signore avanti con gli anni, con parecchi acciacchi anche se molto colto e con tante esperienze passate, qualche accenno di alzheimer e artrosi galoppante, dove la professione culturale benché di un certo livello non rende una buona pensione, anzi l’anziano sistema è davvero in una brutta situazione economica. Dall’altra parte c’è questo ragazzetto prestante, ancora testa calda, inesperto ma con un’ottima famiglia alle spalle e anche un’eccellente istruzione. Molto diligente, può vantare di grandi spazi e un sano portafogli, certo non si allontana da casa spesso (sarà per le distanze?) e studia per diventare leader nel settore. Esempi a parte, la sua struttura culturale è cosciente dell’importanza dell’arte, della sua valenza sociale dunque viene sostenuta sia in ambito privato ma soprattutto istituzionale. Basti pensare che scattata la pandemia con il settore culturale più colpito fin dall’inizio, hanno tempestivamente preso dei seri provvedimenti di sostentamento a cui ho avuto accesso anche io. Ma ripeto, hanno le possibilità economiche per farlo e un grandissimo spazio da colmare senza avere in gestione quell’ingente quantità di patrimonio culturale che invece tocca a noi.
Questo contenuto è stato realizzato da Camilla Boemio per Forme Uniche.
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