“Ci sono alcune persone che cercano di scoprire chi, ci sono alcune persone che cercano di scoprire perché, ci sono alcune persone che non cercano di trovare nulla se non il regno dei cieli”.
Con questi versi si apre Hand of God, la prima canzone del nuovo album di Nick Cave e Warren Ellis intitolato Carnage (carneficina). Non è un caso che si parli della “Mano di Dio” nel primo brano: i testi sacri e la fede hanno spesso giocato un ruolo importante e contraddittorio nella discografia dell’australiano. Un altro suo celebre album inizia con una canzone che parla di Dio: Into my Arms da The Boatmon’s Call. In quel caso tuttavia il creatore è citato solo a scopi romantici: “I don’t believe in an interventionist God / But I know, darling, that you do / But if I did, I would kneel down and ask Him / Not to intervene when it came to you / Not to touch a hair on your head / To leave you as you are / And if he felt he had to direct you / Then direct you into my arms” (Non credo in un Dio interventista / Ma so, cara, che tu hai fede / Ma se io ci credessi, mi inginocchierei e gli chiederei / Di non intervenire quando si tratta di te / Di non toccarti nemmeno un capello / Di lasciarti come sei / E se proprio sentisse di doverti condurre / Allora che ti diriga tra le mie braccia).
La fede viene ripresa qualche anno più tardi anche nell’album No More Shell We Part nel brano God is in the House in un classico esempio di poetica degli opposti tipica di Cave in cui un comunità o una famiglia si rifugia in una casa dove dimora Dio (o comunque sta per arrivare) per proteggerla dal peccato e dalla dissoluzione del mondo esterno. Al netto di questi due esempi, se ne potrebbero rinvenire così tanti da poter dedicare al tema un intero trattato: dal titolo dell’album Kicking Against the Pricks che si ispira Atti degli Apostoli fino al nome della storica band The Bad Seeds (i semi del male) tratto dal Libro dei Salmi. I Bad Seeds dicevamo.
E qui c’è la prima novità: Carange è a firma Nick Cave e Warren Ellis e non Nick Cave and the Bad Seeds. Da molti anni il polistrumentista è il partner per antonomasia dell’australiano nella realizzazione degli album. Entrato in punta dei piedi nella band, dapprima come collaboratore esterno e in seguito come membro a tutti gli effetti suonando inizialmente solo il violino, col suo talento e il suo eclettismo nel passare da uno strumento all’altro, ha contribuito al passaggio dei Bad Seeds a sonorità diverse e più sperimentali finendo per soppiantare come braccio destro di Cave un mostro sacro della prima fase della band come il chitarrista Blixa Bargeld.
Cave e Ellis finora avevano firmato come coppia solo colonne sonore cinematografiche mentre i dischi erano sempre stati pubblicati sotto il marchio della band. Il ruolo sempre più centrale di Ellis e sempre più marginale del resto della band è tuttavia chiaramente percepibile negli ultimi due lavori in studio The Skeleton Tree e Ghosteen. Carnage può considerarsi come il capitolo conclusivo di un’ideale trilogia. Uno dei punti più alti dell’intera discografia dell’australiano è stata la cosiddetta trilogia dell’amore pubblicata a metà anni ‘90: in Let Love in il cuore viene aperto ma il risultato è doloroso, in The Murder Ballads prevalgono storie di omicidi, rabbia e la figura femminile ha quasi sempre un’accezione negativa; con The Boatmans’ Call, infine, torna la quiete con la riscoperta del pianoforte come strumento centrale. Tornando all’attualità si può probabilmente parlare di trilogia del dolore. Non inganni il fatto che The Skeleton Tree sia uscito dopo la tragedia occorsa a Cave della morte del figlio adolescente Arthur, precipitato da una scogliera: King Inc (o come diciamo in italiano, lasciando per strada la rima, Re Inchiostro) all’epoca del fatto è già al lavoro da anni al seguito dell’ottimo Push the Sky Away e la scelta stilistica di ridurre all’essenziale le canzoni è stata adottata in precedenza; un lutto di tale portata non può non aver tuttavia influito sulla stesura di testi estremamente cupi e questo emerge fin dai primi versi della canzone d’apertura Jesus Alone: “You fell from the sky / Crash landed in a field near the River Adur” (Sei caduto dal cielo / precipitato su un campo vicino al fiume Adur). A Skeleton Tree segue un tour mondiale di un’intensità senza precedenti: tanto sono intime e minimali le performance delle canzoni del disco appena uscito, quanto sono violente ed energiche quelle degli altri brani.
Cave non è più l’artista che si esibisce dinnanzi al suo pubblico ma sente il bisogno di tornare a mescolarsi ad esso come a inizio carriera cantando sopra un amplificatore in mezzo alla gente, toccando i fan, donandosi a loro e invitandone a decine sul palco assieme a lui e alla band per il gran finale. E quello che gli altri Bad Seeds non hanno suonato in un disco scarno come The Skeleton Tree in cui tutto è incentrato su sintetizzatori, feedback e una spruzzata di pianoforte, lo fanno all’ennesima potenza live in svariate decine di show che chi ha avuto la fortuna di vedere non dimenticherà mai. Tour documentato dal film Distant Sky: Live in Copenhagen che purtroppo è stato possibile vedere solo nelle sale cinematografiche nel 2018. A questo punto sarebbe il caso di aprire un capitolo reclami sulle scelte discografiche dell’etichetta di Cave: perché non pubblicare in formato audio e video un concerto che ci si è presi la briga di registrare, riprendere e montare professionalmente per l’uscita cinematografica? Perché far uscire solo un breve EP in vinile contenente appena quattro canzoni? E quale strategia si cela dietro alla scelta di pubblicare sia Ghosteen che Carnage in versione digitale con largo anticipo rispetto a quelle su supporto fisico? Le versioni LP e CD di Carnage, infatti, vedranno la luce solo il prossimo 28 maggio.
Tornando al tema principale, questa ritrovata necessità di Nick Cave di interagire col proprio pubblico si manifesta anche in altre forme: dal dialogo coi fan attraverso i Red hand files (che consistono in risposte date a quesiti online con un’incredibile cadenza settimanale) fino a dei tour da solo nei teatri; in questo tipo di esibizioni il pubblico può intervenire e il processo di minimalizzazione delle canzoni si estende anche a quelle di repertorio. In questo scenario viene annunciata a sorpresa la pubblicazione, nell’ottobre del 2019, di Ghosteen, che potrebbe essere tradotto come “il ragazzo fantasma” o “lo spirito migrante”, doppio album questo intriso in ogni nota e ogni verso dal lutto patito dal proprio autore. L’immagine di copertina è un disegno pieno di colori che rappresenta una sorta di fantastico Eden in cui immaginare si trovi il figlio che non c’è più. La maggior parte delle canzoni sono quelle che Cave definisce i “bambini” contenute nel primo disco in cui da qualche posto (forse il paradiso?) giungono messaggi da parte del figlio scomparso. Musicalmente si prosegue sulla linea del minimalismo di The Skeleton Tree anche se, in questo caso, a farla da padrone come accompagnamento del recitato è il pianoforte. Il secondo disco contiene invece le tre canzoni riservate ai “genitori”. Spicca la title track che si contrappone nettamente a quanto sentito in precedenza grazie alla durata che supera i dodici minuti e a un ricco arrangiamento orchestrale che si alterna ai momenti intimi e sussurrati.
Nella successiva Fireflies “i genitori” chiudono il recitato ripetendo per due volte nel finale di canzone: “We are here and you are where you are” (Noi siamo qui e tu sei dove sei). Nel frattempo continuano le esibizioni soliste di Nick Cave fino ai primi mesi dello scorso anno, fintanto che l’avvento del Covid le consente. Nell’estate del 2020 Cave registra a Londra un concerto da solo al pianoforte che viene trasmesso in streaming, esce più tardi nelle poche sale cinematografiche aperte nel pianeta e diventa anche un disco dal titolo Idiot Prayer. Una preghiera perché a un dolore esistente se ne aggiunge un altro che è quello della pandemia e con essa l’impossibilità di mescolarsi alle persone e al proprio pubblico. Canzoni di ogni fase della carriera di Cave sono qui rilette: al minimalismo delle ultime opere si sottrae anche l’apporto di Warren Ellis lasciando solo il pianoforte – come nelle date soliste – a dar vita a una performance toccante e incisiva. È poi la volta di Carnage, una manciata di canzoni scritte dal balcone di casa durante il lockdwon e registrate velocemente in studio improvvisando di cui l’artista australiano ha anticipato l’uscita nei soliti Red Hand Files definendo l’album “un disco brutale ma bello, che si annida in una catastrofe collettiva”.
Le atmosfere sono meno rarefatte rispetto ai due precedenti lavori e la forma canzone più classica sgomita per cercare di riemergere. La carneficina è quella del Coronavirus ma non solo: in White Elephant i versi “A protester kneels on the neck of a statue / The statue says I can’t breathe / The protester says now you know how it feels” (Un manifestante si inginocchia sul collo di una statua / La statua dice: “Non riesco a respirare” / Il manifestante risponde: “Ora sai come ci si sente”) ricordano la recente uccisione di George Floyd da parte di un agente di polizia negli USA. Le parole finali del brano Skeleton Tree erano “And it’s all right now” (Va tutto bene ora) ma, dopo un disco di quel genere, suonava un po’ come un auspicio vuoto in cui non c’è motivo di credere, come l’italianissimo “Andrà tutto bene” del lockdown del 2020 per capirci. In Hollywood, brano conclusivo di Ghosteen invece risuonavano nel finale i versi: “Everybody’s losing someone / It’s a long way to find peace of mind, peace of mind / And I’m just waiting now, for my time to come” (Tutti stanno perdendo qualcuno / È un lungo cammino quello per raggiungere la pace interiore, la pace interiore / E io sto solo aspettando ora che arrivi il mio tempo”) a sottolineare la difficoltà di metabolizzare un dolore così insormontabile. Nel frattempo tutti abbiamo perso qualcuno e siamo purtroppo in grado di capire la sensazione ancora meglio. Ancora una volta sono le parole finali a venirci in soccorso per cercare la chiave di lettura dell’intero disco; in Carnage al termine dell’ultimo brano Balcony Man la frase che viene ripetuta ossessivamente come un mantra è: “This morning is amazing and so are you” (Questa mattina è stupefacente e lo sei anche tu) che in questo contesto suona decisamente più convincente che in The Skeleton Tree. È un inno alla vita e ci si ritrova – senza nemmeno accorgersene – a canticchiarla assieme a Nick Cave pieni di speranza.