L’Associazione Culturale Lido Contemporaneo, in collaborazione con il Comune di Fano – Assessorato alla Cultura e Beni Culturali, presenta Lido La Fortuna. Un progetto triennale, con epicentro la città di Fano, che ogni anno a maggio vedrà la realizzazione di una Residenza d’artista volta a promuovere e sostenere il lavoro di giovani artisti sul territorio fanese, in un confronto serrato e dialettico con le peculiarità identitarie e intrinseche del luogo e con la comunità intera. Per la prima edizione, che si terrà dal 17 al 30 maggio presso il Symposium Quattro Stagioni di Cartoceto (PU), sono stati invitati sei artisti, tra i maggiori talenti nazionali e internazionali. I temi al centro del progetto, con i quali gli artisti si confronteranno, sono: il Ritorno; il Locale; il Periferico; il valore e la valorizzazione del Territorio (la matrice naturale e quella culturale); l’idea di Comunità; la Contaminazione tra pratiche e linguaggi.
Ogni settimana ArtsLife presenterà gli artisti ospiti del progetto (#3)
Parola a Lidia Bianchi.
Tirando le somme di questo anno pandemico ancora in essere. Il tuo lavoro, il tuo essere, il tempo, lo spazio. Dimensioni e considerazioni.
Durante il primo lockdown la pausa dal mondo mi aveva dato modo di concentrarmi sul mio lavoro da artista molto di più rispetto a quanto io possa solitamente, nel mondo normale del tempo-debito.
Non penso che quel mondo come lo conoscevamo torni presto, anzi, penso che non torni più, perché è necessariamente cambiato qualcosa che doveva necessariamente cambiare. Ma quel che è certo è che il primo periodo pandemico ci ha insegnato delle strategie di comunicazione basate sulla mancanza e sulla distanza. Questo da una parte ha fatto sì che le manifestazioni artistiche abbiano potuto continuare a crescere e a muoversi nel sotterraneo, pronte a manifestarsi nei prossimi mesi di liberazione e redenzione, dall’altra ha ricreato quell’opprimente debito di tempo che l’artista deve sia al sistema dell’arte che al mondo normale in cui (spesso) ha un altro lavoro.
Dico questo non per partire in quarta con le lucidissime riflessioni di Byung-chul Han sul tempo profano dell’iperproduzione, ma per dire che il secondo lockdown non ha lasciato spazio alle romanticizzazioni (da privilegiati) del tempo lento della prima ondata. Non è ripartito nulla, ma il tempo ce lo hanno rubato lo stesso, solo in modo diverso. E questa non è una prova che il sistema funziona, ma che è fallace.
In questa seconda fase di pandemia è quindi tornata la mia ricerca disperata di intermezzi spaziali e temporali per concentrarmi sul mio lavoro come artista. Mi ritrovo di nuovo a ricercare e ricreare parentesi di pratica artistica in un indefinito flusso di mondo non normale, ma che prova ciecamente ed ingenuamente a tornare ad esserlo.
Ricerca, locale, territorio, comunità. La residenza come un ampio e trasversale atto di resistenza.
Penso che partire dal punto in cui ci troviamo, ed estendere la raggiera della nostra ricerca passo dopo passo, può fornirci una consapevolezza maggiore sui limiti di quegli immaginari locali in cui ci riconosciamo e di cui diamo per scontato l’universalità. Oppure, al contrario, farci riconoscere bagliori periferici nelle universalità.
Questo tipo di atteggiamento, che potremmo definire periferico-globale, è quello di una pratica di ricerca che si concentra sulle particolarità iconografiche di un territorio specifico, riscattando quindi l’unicità del linguaggio locale, e contemporaneamente le ricontestualizza e confronta in uno scenario culturale geograficamente più ampio e attuale.
Dunque, senza cancellare le specificità delle storie locali, e piuttosto ponendo l’accento su di esse, riconoscere un paesaggio umano sedimentato, intersecato, differenziato, che rompe gli schemi interpretativi dominanti, parlando di storie altre, che resistono alla trasparenza richiesta agli archivi e giacciono in un altrove ai margini della narrazione.
Questa alterità inconoscibile, fuori-luogo, a cui si attinge, riconfigura il presente. Provoca cioè un taglio critico, un’interruzione e un’interrogazione.
Non si tratta di romanticismi o nostalgie culturali, la ricerca dell’altrove è piuttosto una pratica resistente.
Contaminazione, dialogo, osmosi: punti fondanti di una residenza.
La residenza artistica è ciò che c’è di più vicino ad un rituale nel mondo dell’arte e le sue tappe, i suoi schemi.
Riunirsi intorno a qualcosa, un fuoco, un luogo, un tema, una tavola da pranzo, è un richiamo.
È una fenditura del presente tramite la quale quale entrare in contatto con l’arcaico: come i primi uomini attorno al fuoco, gli artisti attorno al tavolo di lavoro.
La tua ricerca, i tuoi riferimenti, il tuo linguaggio, tecniche e materiali prediletti.
La mia pratica artistica prende forma dalle intuizioni estetiche suscitate dal paesaggio e le sue istanze, e si articola in una serie di distillazioni immaginifiche del paesaggio stesso, all’irrealizzabile ricerca dell’arcaico insito nelle fenditure del contemporaneo. Questa vertigine genera reminiscenze archetipiche, e porta lo spettatore a riflettere sull’altrove, la distanza e ciò che è destinato ad essere distante.
Da qualche anno il motore immobile della mia ricerca è la nostalgia.
L’allontanamento geografico dalla mia terra madre ha reso il distacco un prezioso strumento di visione: nel distacco ho guardato, e finalmente ho visto. Ho quindi cominciato a viaggiare nei pochi chilometri dei luoghi di casa come se stessi scoprendo un continente sconosciuto, ma comunque antico. Ho visto luoghi e tempi altri, mai esperiti, manifestarsi nell’inquadratura fotografica come se fossero sempre stati lì ed aspettassero solo di essere, finalmente, visti.
La fotografia è difatti il mio mezzo privilegiato: è il linguaggio della distanza, perché pone lo spettatore lontano dal tempo e dallo spazio dell’immagine, che risulta necessariamente altro da questo.
Inoltre, la fotografia è il portale che unisce l’interiorità dell’artista con le narrazioni universali dell’esperienza umana. Dunque questi altrove risultano essere allo stesso tempo verità e miti.
Nella mia pratica utilizzo principalmente la fotografia analogica medio formato, nel dettaglio una macchina a pozzetto, insieme anche al formato 35 mm. Essendo una macchina piuttosto datata e con numerosi difetti tecnici, che per scelta non faccio sistemare, è impossibile aspettarsi una mera rappresentazione del reale, né tantomeno la riuscita esatta dell’immagine che avevo in mente: il risultato finale è sempre una sorpresa. Il caos è parte integrante ed imprescindibile della mia pratica artistica.
Il mondo visto dal pozzetto è diverso: guardare attraverso il vetro smerigliato non è solo guardare, è vedere veramente – finalmente vedere-. La sensazione di straniamento quasi freudiano che mi provoca abbassare la testa e guardare nel vetro e vedere qualcosa di diverso rispetto a quello che è difronte a me, non smette mai di sconvolgermi e ribaltare le mie certezze. E questo è quello di cui ho più bisogno nel mio lavoro.
Attualmente la mia ricerca si concentra sul Mediterraneo come spazio estetico, luogo di immaginari antichi e nuovi che, ponendosi in rapporto dialettico tra loro, configurano una narrazione visiva altra, incentrata sulle forze telluriche che lo animano.
Fonti d’ispirazione (letteratura, musica, cinema…)
La letteratura, la poesia e la musica, con la parola, danno un senso alle cose proprio quando sembrano non averne e noi ne abbiamo più bisogno.
È una cosa potentissima, funzionano come l’amore.
Ho molti riferimenti in questo senso, ma negli ultimi anni ad aver accompagnato le mie giornate in studio sono stati più di tutto il cantautorato italiano degli ultimi 10-15 anni, i brevi ma potentissimi romanzi di Erri De Luca e il realismo magico di Borges e García Márquez, e le poesie che mi consigliano i miei amici, che incontro, che cerco, tra cui quelle di Emily Dickinson, Wislawa Szymborska, Franco Arminio.
Il cinema è il mio nutrimento quotidiano. Non bado ai tecnicismi, anche perché non li riconosco. Non so chi sia più capace tra un regista e l’altro, sono estranea ai discorsi dei cinefili sulle maestrie di ripresa, ma so quali film mi rimangono di più negli occhi. Ad oggi, sono affascinata da una certa deriva del cinema italiano, come per esempio quella evidente nei lavori di Alice Rohrwacher e Pietro Marcello.
Ma la mia fonte d’ispirazione primaria sono i miei compagni. Continuo a chiamarli così, quelli che hanno fatto l’Accademia con me e in un modo o nell’altro continuano anche loro con la loro ricerca. Nei compagni includo anche chi si è aggiunto dopo, artisti e artiste, ma anche curatori e curatrici, scrittori e scrittrici, musicisti e musiciste ecc. che ho conosciuto dopo o fuori dal mio percorso di studi o per vie alternative a quelle del sistema dell’arte. Sono compagni di lotta, perché fare arte quando questo fare è continuamente sminuito e ostacolato, è difficile e spesso frustrante, è una lotta, è resistenza.
Loro sono le mie introvabili e luminosissime lucciole pasoliniane, invisibili alla luce del riflettore.
Progetti attivi, progetti futuri.
Nell’immediato, direi la residenza artistica Lido La Fortuna curata da Lido Contemporaneo, in collaborazione con il Comune di Fano!
Per il resto…
A breve vedrà la luce il dummy photobook di Le telluriche, che vedo un po’ come la prima parte di un’epica della lentezza, dal tono discreto e sommesso, che celebra l’intuizione estetica e il momento in cui questa scaturisce da un frammento di realtà. Quello svelamento lì, mi interessa.
Dal 21 al 30 maggio parte del mio ultimo lavoro Le telluriche sarà esposto all’Insight photo festival di Varese, nel circuito off, in uno studio nel bel mezzo dei boschi varesini.
In estate ci sarà la mostra di Falìa AIR, il programma delle residenze d’artista a Lozio, tra le Alpi Orobie, curato da Alice Vangelisti, a cui ho avuto l’onore di partecipare la scorsa estate.
E sicuramente altre mostre che dovevano avere luogo nel 2020 ma che per ovvi motivi sono state rimandante, come per esempio Centrale Festival presso la Rocca Malatestiana di Fano e Italia 90’ presso Condomio xyz.
Per il resto, mi sto occupando della produzione di serie di lavori, che nel mio caso sono per la maggior parte immagini, che sono già lì da tempo in attesa di vedere la luce della materialità.
Nessun lavoro nuovo per ora, solo continue scoperte di cose che sono già lì, latenti, e che riscopro mentre riordino i miei archivi di pellicole.
Ma è da qualche mese che ho delle immagini che mi girano in mente, su mio padre, su quello che era lui e quello che era il suo giardino. Forse qualcosa di nuovo, più o meno a livello inconscio, è già lì.