Rifkin’s Festival, al cinema il nuovo film di Woody Allen, un omaggio al grande cinema d’autore che non convince
Tra i film che hanno segnato il ritorno del pubblico italiano in sala, dopo la lunghissima chiusura dei cinema a causa della pandemia, spicca il nuovo film di Woody Allen, Rifkin’s Festival. Quattro premi Oscar, una filmografia più che prolifica, molte polemiche: il regista di Io e Annie in Europa è ancora molto amato, mentre negli Stati Uniti è sempre più mal visto, tanto che per lui ormai è impossibile trovare finanziatori americani. Come successo in passato torna così a girare in Europa (Match Point, Scoop, Sogni e delitti, Vicky Cristina Barcelona), questa volta a San Sebastián, in Spagna.
Protagonista della pellicola Wallace Shawn (che proprio con Allen ha esordito al cinema nel 1979, in Manhattan) nel ruolo di un insegnante di cinema e romanziere in crisi creativa, Mort Rifkin (l’ennesimo alter ego del regista). In viaggio con la moglie (Gina Gershon), addetta stampa di un pomposo regista (Louis Garrel) in cartellone al Festival internazionale del cinema di San Sebastián, Rifkin vede tramontare un amore e nascerne uno nuovo, ma è solo un attimo. Questo il plot per l’ennesimo film della proloco di Allen che fa muovere il suo doppio in crisi di mezza età (o poco più in là) tra le pellicole del suo cuore, i grandi classici del cinema che più ama. Vediamo così prendere forma un film escapista (alla Midnight in Paris) dove Quarto potere di Orson Welles, 8 ½ di Federico Fellini, L’angelo sterminatore di Luis Buñuel, Persona, Il posto delle fragole e Il settimo di Ingmar Bergman, Jules e Jim di François Truffaut, Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard e Un uomo, una donna di Claude Lelouch prendono forma nei sogni (a occhi aperti e non) dello scrittore, in una meditazione sull’amore, il senso della vita e la morte.
Niente di nuovo per Woody Allen che ripropone per l’ennesima volta una stanca variazione sui temi a lui cari, con un soggetto banale e una sceneggiatura che non brilla. I sogni sono dei siparietti stantii, i film “della vita“ i soliti titoli intoccabili su cui ormai si è detto tutto, meglio rivederli per l’ennesima volta (ogni volta come fossa la prima) che (ri)parlarne.
Non è il suo primo film bruttarello – con il ritmo di un’uscita all’anno sarebbe ingiusto aspettarsi solo capolavori – ma dopo l’ottimo La ruota delle meraviglie e il deliziosetto Un giorno di pioggia a New York (aggiornamento in chiave late millennial/Gen Z dei tòpoi della sua poetica), Rifkin’s Festival nulla aggiunge di interessante all’immaginario di Woody Allen e nemmeno l’ottimo cast (su tutti Gina Gershon) riesce a tenere in piedi questa malriuscita fuga dalla realtà.