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Lettere trovate nel teatro magico #5

Allora il caleidoscopio non stupisce più, e diviene gioco

Cara mia, bella amica, il tempo impiegato a leggere e rileggere una sua lettera, non varrà mai la pena che si adopera ad adornarne la risposta.
Grazie di aver scritto la lettera con quella penna. La sua calligrafia, la stilografica, il vibrare di quelle parole inclinate, si è rivelata la forma più adatta per parlare dei sentimenti che si sono presentati cristallini davanti ai miei occhi.
Mi sono illuminato leggendola attraverso tanta trasparenza.
Ma io sono vecchio e la luce mi fa male agli occhi, li devo socchiudere, o posso assistere al mutamento solo guardando dal buco della serratura.


Verrà cara amica, bella e impaziente.
Sempre che queste mie righe meritino una replica, verrà a trovarmi.
La porterò con me fuori dove la luce sarà diretta, ma ancora fredda. Dove l’aria sarà colma di acqua e svuotata dai rumori. Dove il viale e la piazza sgombri nelle prime ore, quando tutti riposano e ci lasceranno soli, saranno unicamente per noi.
Senza custodi, tra i volatili poco accorti del mattino e le foglie appena cadute, con le nuvole e le ombre lontane, lei sarà qui mia ospite, e ascolterà contenta ciò che vorrò dirle con sospirate parole di amante e la ruvida vecchiaia di un padre.
Meriterò un lungo ascolto, perché poi vorrò impaziente sentire la sua voce.
Vorrei già ora poterle donare tutto, ma non saprò farlo.
Saprò essere il ponte su queste acque mosse?
O la froderò con fragore, donandole un fiore, lasciandola andare per non vedervi appassire. Sarà come aver ricevuto la vocazione senza essere pronti o senza essersene accorti?


Ammetto che ogni anima ha le sue corruzioni. Se non ho ricompense e nella vita mi sento disconosciuto, dimenticato e ricusato, ebbene, mi rispondo subito che non cerco ricompensa alcuna dall’amore che dedico al lavoro, che è ormai per me la vita stessa. E certe sue parole, solo nostre, non possono che commuovere la mia dignità.
Lei sa che ho sempre abbandonato tutto, come le scrissi tempo fa, tutto tranne me stesso e l’amore per l’arte.


Arricchirsi, o essere riconosciuti per strada, quell’illusione di avercela fatta che non è nulla in confronto alla consapevolezza, dolce sentire, che ne è valsa la pena.
Allora il caleidoscopio non stupisce più, diviene gioco, e io cerco proprio quella spoliazione, quel solo genere di nudità.


Ricevo con piacere le sue fotografie. Lei è incantevole come la folgore, bellissima come la luce e dietro di lei é splendido il disegno dei cani che tiene incorniciato all’ingresso.
C’è sempre un cane nelle mie storie. Mi sento beato che non manchino in questa, anche se la rappresentazione di un cane è una cosa triste per dichiarazione o semplice simbologia.
Non mi si figura cosa più triste di un cane immortale”.
È una frase che ho trovato su una bottiglia di vino: è il mio pensiero.


Non è nella verginità e illibatezza di una donna che trovo il mio piacere, nel ventre liscio, nella pelle di frutta, ma nel profondo del suo vizio, nelle pieghe, nelle rughe e nei tagli; nei gomiti sbucciati o nelle ginocchia livide amo ogni errore: segni della caduta da ciò che era.
Perché, inevitabilmente, a un certo punto della sua giovinezza una bambina come lo era lei si sarà dimenticata di non volere la guerra e sarà divenuta adulta a sue spese: incedendo con i passi sulla neve che, ghiacciata, avrà ormai coperto le primule e i nidi dei merli, per sempre. Il tramonto roseo, sarà il rovente disegno sullo sfondo della vita che ci ha recisi alla radice, o al picciolo se eravamo ciliegie dal colorato succo.

Ma di questo, come ci siamo detti nella scorsa lettera, parleremo di persona quando riterrà opportuno raggiungermi.

Non mi scriva che quello, il giorno in cui la vedrò, la prego, sole luminoso.

G S

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