Tra desiderio di attualizzare elementi provenienti dal passato e di marginalizzare paure e incertezze per un futuro di non limpida visione, l’avanzata tecnologica vive nella incandescenza del dibattito etico, politico, sociologico, scientifico. La conoscenza critica e condivisa di questa querelle anima gli intenti di K-studies, serie editoriale di KABUL Magazine, che raccoglie contributi intersezionali di ricercatori e intellettuali per pubblicazione tematiche.
Con Hypernature. Tecnoetica e tecno utopie del presente, ci inoltriamo nella trattazione intorno al rapporto tra tecnologia e sostenibilità della società, in un divenire di trasformazioni radicali; i contributi, provenienti da diversi ambiti di studio, modulano la pubblicazione sulla tensione esistente tra la fiducia nel progresso, come istanza creativa di nuovi scenari “ abitabili”, e la possibilità, tangibile, di ritrovarsi in paradossi, forse calcolabili.
“In ogni dispositivo, bisogna distinguere ciò che siamo (ciò che non siamo già più) e ciò che stiamo divenendo”, così Deleuze articolava il concetto di dispositivo e la sua “attualità” nel farci divenire “altro”. I dispositivi tecnologici, messi comunque in atto da una società di controllo, vanno ormai potenziati nella direzione che Charles Preston, in L’era sintetica, identifica come materiale plastico in grado di trasformare la realtà, andando a intervenire sugli ecosistemi del pianeta a un livello biochimico funzionale per l’essere umano.
“Per sfruttare appieno le enormi potenzialità del progresso scientifico e delle innovazioni tecnologiche, dobbiamo assumere il ruolo di consapevoli demiurghi”, così si legge nell’introduzione a proposito del saggio di Preston. Ma vanno rivisti i canoni di tale figura, non è più quello platonico identificabile in un’entità semidivina, a cui tuttavia delegare la forma di una materia preesistente in copie replicate ma imperfette, ma è diventato pura epistemologia critica, politologica, sociologica, ambientale, che coinvolge tutti per l’acquisizione dell’intersoggettività come unica possibilità di coesistenza. Qual è il ruolo, dunque, dell’uomo nell’era sintetica che ha superato anche l’antropocene? Comprendere le potenzialità trasformative delle tecnologie, azione che interessa tutte le soggettività della popolazione globale, anche quelle escluse o marginalizzate.
La prefazione di Maurizio Balestrieri ci introduce alle istanze poste alla base della biogenetica, come l’emancipazione da sé stessi con una nuova facoltà di autogenerarsi, sfiorando la memoria di temi presenti anche in anime di oltre vent’anni fa (Neon Genesis Evangelion e il progetto per il perfezionamento dell’Uomo che aveva causato il cataclismatico Second Impact), e ci conduce agli interrogativi più critici sottesi. La possibilità, ad esempio, di sfociare in una nuova lotta di classe per la mancanza di accesso collettivo a risorse come il “genome editing per correggere o potenziare il dna dei figli”, tema fondamentale del dibattito bioetico. Da qui approdiamo alla conoscenza della possibilità concreta di resuscitare specie di animali estinti, la de-estinzione. Clonazione, ingegneria genetica e riproduzione selettiva sono i tre paradigmi intorno ai quali si muove la riflessione, sfidando le criticità e le obiezioni sui principi validi o non ritenuti tali in termini, ancora una volta, etici. Il coinvolgimento umano in un intervento del genere andrebbe a impattare con gli ecosistemi presenti confermando il suo carattere antropocentrico, perché rivolto unicamente a uno scopo migliorativo del genere umano. Il contraltare che si presenta è complesso e articolato, ma si fonda sull’idea che la de-estinzione possa mitigare la perdita di biodiversità causate dall’uomo stesso, sottendendo, pertanto, un valore ecologico. Rimane tuttavia un solco all’interno del quale la tecnologia, certamente non inerme, è rappresentazione esatta e in continuo compimento di una forma di potere.
In questo stesso stesso solco si ritrova l’interesse nel gestire la sanità applicando un controllo epidemiologico. Il “Digital Disease Detection” e la sua relazione con la la sorveglianza di malattie, il suo data base di raccolte dati ricavabili anche attraverso i semplici social media e gli account registrati, si svela come forma algoritmica utile a stabilire dei case stories. Un potenziale sfruttabile in misura eticamente adeguata ma anche riferibile alle fantasie tecno progressiste occidentali, che non tengono in conto, o forse sì, la percezione di indeterminatezza e “onto paranoia” dell’essere globale, che vive tra “ data visualization” e l”io algoritmico”, tra necessità di compromesso con una forma di realtà e l’iperstizione.
Tecnologia come forza non neutrale in grado di avere un grande impatto antropologico, andando a considerare lo storico delle prime tecnologie trans, cioè il social media Tumblr, primo spazio virtuale che ha raccolto e unito una comunità nella sua metanarrazione di cambiamento e rappresentazione identitaria autentica. Cyborg, transizione e biohacking nella disamina attenta a considerare la manipolazione corporea sia secondo dettami per cui “ il corpo come insieme di elementi, intimamente connesso ad altri attanti (umani e non umani)”, sia come determina di trascendenza dei limiti umani. Postumanesimo, nel primo caso, diversificato dal transumanesimo, nel secondo caso. Una distinzione, come spiega Hilary Malatino, rifacendosi a Cary Wolfe, per cui il postumanesimo indica : “ una incarnazione e un incorporamento dell’essere umano non solo nel mondo biologico, ma anche in quello tecnico. (…) Al contrario il transumanesimo rappresenta un’estensione del dogma antropologico di base associato all’umanesimo, nella misura in cui l’umano è ottenuto rifuggendo e reprimendo non solo la sua origine animale nella natura, nella biologia e nell’evoluzione, ma , più in generale, trascendendo del tutto i legami di materialità e incarnazione”.
Robot e nanotecnologie, dal loro germinale sviluppo alla crescita ispirata ai sistemi biotici delle piante, rivelano, attraverso gli approcci studiati negli anni per l’adattamento morfologico dei sistemi artificiali, il legame persistente e dal carattere ispirativo, tra tecnologia e sistemi viventi vegetali.
I sei contributi presenti della pubblicazione – realizzati da Shlomo Cohen, Kerstin Denecke, Mark Jarzombeck, Oliver L. Haimson, Hilary Malatino, Emanuela Del Dottore e Barbara Mazzolai – ci offrono una visuale composita e articolata in cui la tecnologia non si afferma in maniera lineare e progressiva ma si sviluppa in uno scambio di flussi con il contesto sociale. Un’utopia tecnologica è tale perché conferma quanto la società contemporanea riponga fiducia nelle narrazioni del progresso e ciò avviene nonostante molteplici fattori evidenzino che alcune tecnologie potrebbero aumentare i problemi anziché diminuirli.
Tuttavia la tecnologia avanza, tra paure prometeiche e hybris sostenuta da una sua etica, pur sotto l’accusa di giocare “a fare Dio” – su cui ben argomenta Shlomo Cohen all’interno del testo – incoraggiando la responsabilità delle scelte fatte nel presente, perché saranno quelle rivolte alle generazioni che ci succederanno.
Questo contenuto è stato realizzato da Lara Gigante per Forme Uniche.
Hypernature – Tecnoetica e tecnoutopie dal presente, KABUL editions (collana K-studies), 2020.
https://www.kabulmagazine.com/hypernature/?type=publication