Venerdì 14 maggio ha inaugurato, presso lo spazio espositivo State Of in via Seneca 4 a Milano, la mostra “È sempre una lotta per capire come devono stare questi corpi” degli artisti Silvia Bigi, Nicolò Cecchella e Sophie Westerlind, curata da Luca Zuccala e Andrea Tinterri.
La mostra insiste sul concetto di corpo e identità, tematiche che oggi infiammano il dibattito pubblico, diventando il fulcro di una vivace e urgente discussione. Ma la mostra si allontana volontariamente dalla quotidianità politica per restituire una visione più sedimentata e linguisticamente eterogenea. Come scrivono i curatori, il progetto vuole essere un confronto tra progettualità diverse che insistono sul corpo come presenza materiale ed identitaria. Un tema che oggi, per ragioni differenti ma concomitanti, è sociale e politico. La volontà è quella di interrogare il corpo ma distanziandosi dal dato di cronaca, relegando il dibattito contingente (sessualità, genere, questione razziale, emergenza sanitaria) a presenza implicita ma distante, che grava sulla progettualità ma in modo silente, sottotraccia. In questo modo l’esposizione del corpo si rarefà perché non più necessaria, viene metabolizzata dalla storia dell’immagina stessa, dalla storia intima, biografica, dall’accumulo di oggetti che compongono una stanza, da archivi privati che perimetrano la memoria.
Le opere degli artisti in mostra dialogano tra loro abbattendo i confini progettuali, i lavori di Bigi, Cecchella e Westerlind definiscono un’unità narrativa inedita resa possibile da un approccio curatoriale programmaticamente orizzontale, l’intervento di occupazione dello spazio e soprattutto di scrittura del testo critico è stato un processo collettivo che ha coinvolto, in egual maniera, i curatori e gli artisti.
In questo modo tre progettualità diverse hanno potuto liberarsi nello spazio espositivo in maniera coerente. La pittura di Sophie Westerlind che restituisce stanze apparentemente prive della presenza umana, ambienti da poco abbandonati che aspettano un immediato ritorno. Letti, mobili, vasi, strumenti musicali, una geografia di indizi che suggeriscono un’assenza. Il corpo, dove non è presente, viene citato come fosse un architetto inconsapevole; i luoghi sono ritratti fedeli che non lasciano spazio a nessun tipo di omissione. L’archivio fotografico di Silvia Bigi che esplora manufatti di memoria, con una lametta gratta la superficie di vecchie fotografie di famiglia ricavandone polveri colorate, utili per un nuovo impiego, per nuovi riutilizzi. La polvere è memoria, la polvere conserva il dato, i corpi e la loro prossimità fotografica, ma l’immagine scompare, si ritrae per diventare altra rappresentazione, per diventare materia generatrice. Ma anche i sogni sono un archivio da cui attingere e da cui estrapolare ritratti al limite dell’informale. Un algoritmo processa i ricordi sopravvissuti al sogno e li restituisce nella loro irregolare stratificazione.
La scultura e la fotografia di Nicolò Cecchella che si alternano in una costante dimensione di verifica, in cui il corpo stesso di queste tecniche assieme a quello dell’artista viene messo in discussione.Ci troviamo di fronte a tracce e frammenti di corpo che si proiettano in concrezioni scultoree o sulla superficie dello scanner, utilizzato come un’interfaccia aptica che ne ingloba la presenza. Il suo volto è sottoposto ad una serie di manipolazioni ed esposizioni che spingono fino alla vertigine il concetto d’identità. Cecchella interroga la sostanza stessa della rappresentazione restituendola ad un’ambiguità disarmante, ad una messa in discussione necessaria e violenta.
La mostra resterà aperta fino al 6 giugno ed è visitabile dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 18 (su appuntamento)e sabato su appuntamento.