La Galleria Fumagalli organizza, per festeggiare i 30 Annamaria Maggi come direttrice (dal 1991), un ciclo di otto mostre curate dal critico ungherese Lóránd Hegyi, intitolato “MY30YEARS – Coherency in Diversity”, inaugurato con la mostra “Architettura – Spazialità – Artefatto” (26 maggio – 30 luglio 2021), che si estenderà fino a metà del 2022.
In ogni mostra verranno esposti lavori di tre artisti al contempo; di generazioni, formazione, stili e provenienza diverse, seguiti e rappresentati dalla galleria in questi 30 anni. Annamaria Maggi ci ha raccontato come ogni singolo artista è importante, essenziale per la galleria e la sua identità, come ciascuno è un pezzo, un frammento indispensabile della loro storia di mostre, vendite, acquisti, arte. E non sono pochi, gli artisti: se non sbagliamo i conti, otto per tre uguale ventiquattro. Ventiquattro artisti esporranno nello spazio di Via Bonaventura Cavalieri 6 a Milano nei prossimi mesi. Ventiquattro persone, ventiquattro linguaggi, ventiquattro sguardi. Le opere verranno disposte, lette, guardate, interpretate, reinterpretate e a noi presentate da Hegyi, maestro che armonizza una diversità che è, in realtà, coerente.
Magnifico esempio di questa armonia, la prima mostra del ciclo: “Architettura – Spazialità – Artefatto”. I tre artisti: Anne & Patrick Poirier, Marco Tirelli e Giuseppe Uncini. I primi due declinano i concetti del titolo (architettura, spazialità, artefatto) avvicinandosi a una certa organicità – si può vedere del “muschio” che cresce in alcune delle loro sculture, che contrasta con il grigio dei loro materiali – e lavorano sull’idea del passato – alcune loro opere sono rilievi di vedute aeree delle rovine della città di Palmira – e del tempo (il tempo, un’altro leitmotiv della mostra e dell’intero ciclo di Lóránd Hegyi). Marco Tirelli, artista romano che lavora con la Galleria Fumagalli dal 2003, presenta sia sculture che quadri ed altre opere; insiste sui concetti di assenza/presenza, di struttura e solidità, di trasparenza/opacità, con pezzi che possono anche essi farci riflettere sul tempo, sullo spazio… Di Giuseppe Uncini (1929-2008), forse il più noto artista della triade, possiamo osservare una delle sue iconiche opere in cemento, legno, ferro: materiale, concreta, strutturale, solida, imponente.
La mostra si presenta “monocroma”, ma, come ci ha spiegato Hegyi, il curatore, il colore grigio non è assolutamente il filo conduttore fra le opere. Sono capitati nella galleria tre artisti che usano materiali sui toni del grigio (ferro, cemento, metalli), ma la vera conversazione fra di loro non c’entra nulla con il cromatico, ma con la ricerca sullo spazio e sul tempo. Le diverse opere ci fanno pensare diacronisticamente e diatopicamente. E diverse storie, e diversi spazi, si intrecciano: la storia della galleria, attraverso il tempo (30 anni!) e attraverso lo spazio, la storia degli artisti, delle opere, del mondo. La mostra, e il ciclo di otto mostre, è una riflessione su spazi e tempi, una riflessione infinita, ci diceva Hegyi, che ha cercato proprio questo: di stimolare attraverso una molteplicità di sguardi (suo, degli artisti, ma anche – e soprattutto – del pubblico che fruisce) infinite interpretazioni (ancora: interpretazioni della mostra, delle opere, del mondo, dello spazio, del tempo…). Hegyi è riuscito a fare ciò che cercava: addirittura Tirelli, l’artista, presente il giorno di apertura della mostra, ci ha raccontato come anche lui si sia trovato a scoprire nuovi modi di interpretare la sua opera dopo aver dibattuto su di esse con certe persone (con Hegyi, con Maggi, con noi…).
In una sola mostra, di otto in totale, abbiamo già infinite interpretazioni. Ma ci sono infiniti più piccoli di altri, e ancora, se non sbagliamo i conti, ci mancano sette mostre, e il nostro infinito verrà moltiplicato. Maggi, Hegyi e le loro triadi di artisti ci fanno e ci faranno pensare tanto, tantissimo. Disse un certo filosofo tedesco, grosso modo, che bello è ciò che ci dà molto da pensare senza essere riconducibile ad un concetto. La mostra “Architettura – Spazialità – Artefatto” ci dà assolutamente molto, moltissimo, da pensare, e noi navighiamo fra concetti ed interpretazioni senza sapere a quale aderire; ma non ci importa. È bella questa coerenza nella diversità.