Il ritratto è lo studio che colla maggior semplicità di mezzi racchiude la più efficace parola dell’Arte nell’espressione della forma viva”.
Giovanni Segantini maestro del ritratto. Fino al 20 ottobre 2021, il Museo Segantini a St. Moritz (Svizzera), presenta questa raffinata esposizione composta da ventidue ritratti e autoritratti (16 dipinti e 6 disegni), provenienti da collezioni pubbliche e private internazionali, realizzati lungo tutta la carriera di Segantini, dagli esordi a Milano (1879) fino alla morte prematura in Alta Engadina (1899).
L’esposizione, curata da Annie-Paule Quinsac, autrice del catalogo ragionato di Segantini, e Mirella Carbone, direttrice del museo engadinese, indaga per la prima volta la carriera di Giovanni Segantini come ritrattista. In mostra lavori permettono ai visitatori di seguire l’evoluzione della ritrattistica segantiniana da specchio a simbolo, cioè la graduale trasformazione del modo in cui l’artista ha inteso questo genere: partendo dalle opere giovanili, in cui persegue una resa più o meno fedele dei tratti fisionomici, giunge alla concezione del ritratto come veicolo per esprimere un’idea o un simbolo.
Il percorso espositivo si apre con alcune importanti opere del periodo giovanile milanese, come l’affascinante ritratto di Leopoldina Grubicy (1880), sorella di Vittore Grubicy de Dragon, mercante d’arte e amico dell’artista. All’epoca della posa la giovane donna era appena rimasta vedova con due bambini. Segantini ha saputo rendere con grande forza espressiva il volto di aristocratica eleganza del suo modello, in cui gli occhi, che concentrano l’attenzione, esprimono infinita tristezza.
Alle opere milanesi segue una scelta di lavori realizzati durante il soggiorno in Brianza (1881-1886), tra cui il toccante disegno del piccolo Gottardo (1885), il primogenito dell’artista, addormentato dopo aver subito un’operazione.
Al 1886 risale l’effige della contadina Maria Paredi che, grazie alla pennellata violenta, spessa e filamentosa, si potrebbe definire quasi espressionista. Subito dopo il trasferimento a Savognin, nel Cantone dei Grigioni, Segantini realizzò uno degli esempi più belli del suo talento come “esploratore del volto umano”. Si tratta del ritratto monumentale di Vittore Grubicy (1887), nel quale raffigura l’amico su un primo piano fortemente costruito, circondato da alcune tele appena coperte, nell’intento di definirne il lavoro di mercante d’arte. Il volto di Grubicy, raccontato in modo intimista, rilassato, colto durante una discussione con il pittore, rivela una personalità riservata e generosa.
Di appena tre anni più tarda è l’elegia simbolista Petalo di rosa (1890), l’ultima rappresentazione della compagna Bice Bugatti, un capolavoro della ritrattistica segantiniana, ridipinto sopra un’opera dal titolo Tisi galoppante (1881). Il pittore decise qui di cancellare il precedente, lugubre messaggio di malattia e morte, sostituendolo con un simbolo di vita, reso magistralmente anche grazie all’utilizzo di una sperimentazione tecnica, che affondava le proprie radici nel Rinascimento: essa prevede l’utilizzo della polvere e della foglia d’oro, per giungere a una valenza iconica, che coesiste con effetti morbidi di forte sensualità.
È attraverso gli autoritratti che si manifesta in modo ancora più inequivocabile la metamorfosi da specchio a simbolo; la rosa dei sei lavori esposti, i più noti della sua produzione, spazia dal 1879 al 1898, dal primo autoritratto, un’opera realista che rispecchia il fascino dei lineamenti del giovane artista ventenne, fino all’ultimo, che presenta un volto da profeta.